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lunedì, gennaio 04, 2016

I dieci migliori album del 2015 che non sono su Spotify


Dal 2010, compilo e pubblico sul blog Spotirama le playlist Spotify relative alle classifiche di fine anno di alcuni dei maggiori giornali e siti musicali internazionali (Mojo, Pitchfork, NME...). Si tratta di un modo per recuperare alcuni brani & dischi persi per strada lungo l'anno, di crearsi un piccolo archivio critico/enciclopedico sul meglio della contemporaneità, di sfogare il mio lato reorganazi, ecc. ecc... L'ho fatto anche nel 2015, raccogliendo una quindicina di playlist basate sulle classifiche di Fact Magazine, The Guardian, Les Inrockuptibles, Mojo, NME, Noisey, NPR, PopMatters, Pitchfork, Rockit, Rough Trade, Uncut e Wire. Chi fosse interessato, le trova a questo indirizzo: http://spotirama.blogspot.it/search/label/eoy2015

Un trend significativo a cui ho assistito nel corso di questi cinque anni - che conferma ciò che si dice e scrive sulla graduale adozione universale dello streaming - è relativo alla crescita della disponibilità degli album e delle canzoni su Spotify. Per esempio, nella Top 50 degli album secondo Pitchfork si è passati da 43 titoli disponibili nel 2010 (86%) a 48 nel 2015 (96%). La versione Spotify della Top 100 delle canzoni italiane secondo Rockit nel 2013 raccoglieva l'85% dei brani, quella della Top 50 nel 2015 raggiunge il 96%. Al di là dei grandi embarghi mediatici operati dalle popstar che se lo possono permettere (Taylor Swift, Adele, Coldplay, Thom Yorke...), l'adozione dello streaming ha raggiunto dunque percentuali quasi plebiscitarie. Credo sia un discorso generalizzato, che non riguarda solo quel terreno su cui si incrociano rock, elettronica e hip hop, campo d'azione prediletto delle pubblicazioni che tengo d'occhio su Spotirama. 

Da un certo punto di vista, spulciando le classifiche di fine anno si potrebbe anche sospettare che tra giornalisti e blogger si stia diffondendo un'inconscia, pragmatica preferenza per gli artisti presenti sulle piattaforme streaming. Se l'utilizzo di Spotify & C. si diffonde anche tra i critici musicali (magari assieme a una diminuzione delle advance copies spedite dalle etichette per le recensioni), è plausibile pensare che i dischi disponibili in streaming abbiano possibilità maggiori di essere ascoltati e inseriti nelle classifiche di fine anno, rispetto a quelli che non vengono diffusi su questi canali? Non ho gli strumenti per rispondere a questa domanda, ma l'esperienza personale mi suggerisce che potrebbe essere un'ipotesi non troppo campata in aria.  

Detto ciò, proprio per la loro eccezionalità, gli album che oggi non sono su Spotify (e in genere sugli altri servizi streaming) brillano di una loro tenace luce propria: si distinguono, oltre che per le eventuali doti artistiche, per il loro andare controcorrente. Nell'elenco sotto ho raccolto i migliori dieci album del 2015 che appartengono a questa particolare categoria. Non li ho scelti io, ma mi sono basato sulla classifica aggregata del forum Acclaimed Music, generata dalla fusione di decine di chart internazionali. Tra parentesi, vicino al nome dell'artista, ho messo anche la posizione nella classifica generale (quest'anno è comandata da Kendrick Lamar, Sufjan Stevens e Jamie xx). Come noterete, per trovare dieci album non presenti su Spotify bisogna scendere fino oltre alla duecentesima posizione. 

Come quasi ogni anno, le prime posizioni (Joanna Newsom, Jim O'Rourke, Jessica Pratt) sono occupate dai nuovi album pubblicati dalla Drag City, la più influente label indipendente che ancora oggi persegua una politica no streaming. Ben diversa è la storia della citata Adele (il cui bestseller 25 sarà probabilmente distribuito in streaming tra qualche mese, seguendo una strategia "a finestre" già adottata in passato) e di Compton di Dr. Dre, che è stato distribuito in esclusiva streaming su Apple Music, la piattaforma nata dalle ceneri di Beats Music, vecchio servizio che lo stesso Dr.Dre ha venduto nel 2014 a Cupertino per parecchi soldi. Guardando al panorama italiano, sono solo due gli album della Top50 di Rockit che non ho trovato su Spotify: A Love Explosion (Go Dugong, #7) e Soul of a Supertramp (Mezzosangue, #36). 

1. Divers (Joanna Newsom, #11 nella classifica di fine anno di Acclaimed Music)
2. Simple Songs (Jim O'Rourke, #36)
3. Compton (Dr. Dre, #59)
4. 25 (Adele, #71)
5. Levon Vincent (Levon Vincent, #84)
6. On Your Own Love Again (Jessica Pratt, #96)
7. Hand. Cannot. Erase. (Steven Wilson, #120)
8. The Good Fight (Oddissee, #154)
9. Mutilator Defeated at Last (Thee Oh Sees, #157)
10. Break Stuff (Vijay Iyer Trio, #205)

mercoledì, aprile 22, 2015

Due modi ben diversi di vedere il boom del vinile


I due grafici che vedete sopra, realizzati da Digital Music News, usano la stessa base di dati (forniti dalla Recording Industry Association of America) per raccontarci la medesima storia: il revival del vinile negli USA. Solo che il primo si concentra sugli ultimi dieci anni, mentre il secondo risale fino alla metà degli anni Settanta. E il risultato è ben diverso. 

Nel primo grafico, la crescita delle vendite di vinili sul territorio statunitense risulta esaltante e giustifica implicitamente tutti gli articoli che avete letto (e che anch'io ho scritto) sul fenomeno. La reazione è quasi spontanea: "Nessuno compra più dischi? Tutti ascoltano la musica su Internet? Ah ah, sciocchezze. Guardate qua". E l'effetto è ancora più forte se accompagniamo il grafico con quello dei download a pagamento, in drastico calo. 

Le vendite di vinili negli USA dal 2005 al 2015 (stima). Fonte: Digital Music News.
Guardando il secondo grafico, però, il bicchiere si svuota immediatamente: il topolino da 15/20 milioni di copie del presente risulta quasi invisibile rispetto alla montagna da oltre mezzo miliardo del 1977. Anche la sfavillante crescita dell'ultimo decennio scivola ai confini dell'impercettibile. Tutto è relativo: se io l'anno scorso compravo un disco e quest'anno ne compro due, la crescita percentuale è favolosa. Ma se mezzo secolo fa ne compravo cento...

Le vendite di vinili negli USA dal 1975 al 2015 (stima). Fonte: Digital Music News.
L'infografica è uno strumento sempre più comune del racconto giornalistico: sia perché il formato-immagine si presta molto bene a un panorama dei media dominato dagli schermi, sia perché quando si tratta di "mostrare dei numeri" (e non solo dei numeri) l'impatto di un grafico sul lettore/utente è automaticamente maggiore rispetto a quello di un testo. Anche uno dei settori più dinamici dell'informazione, il data journalism, si accompagna in modo quasi inestricabile a una visualizzazione grafica finale della storia. 

Ma:

a) Se siete autori di contenuti, ricordate che il valore informativo del vostro lavoro non aumenta solo con la citazione chiara della base dati utilizzata (obbligatoria), ma anche fornendo al lettore adeguati strumenti di contestualizzazione del lavoro. È qui che interviene il corretto utilizzo del testo, che troppo spesso viene lasciato in secondo piano, ridotto a nanodidascalia o addirittura gettato nel contenitore del superfluo ("perché tanto la gente non legge più").

b) se siete fruitori di contenuti, ricordate di non sopravvalutare l'effetto da "informazione a prima vista". Se è vero che le infografiche raggiungono rapidamente il bersaglio, è anche vero che spesso lasciano un messaggio parziale (quando non sbagliato/scorretto), che solo una maggiore consapevolezza da parte del lettore aiuta a riconoscere. Fatevi sempre qualche domanda; non date nulla per scontato; non lasciate che il primo contatto visivo con l'informazione si trasformi nell'assunzione di un dato di fatto.

Tabelle, grafici, diagrammi e altre forme di infografica sono uno strumento utilissimo per raccontare in modo efficace (e spesso esteticamente gradevole) una storia. Sono però sempre frutto di un processo narrativo: si basano su dei numeri ma non sono verità scientifiche. Alla fine dipende sempre tutto dalla prospettiva, da dove si punta lo sguardo, da quale risposta si cerca. Tornando agli esempi mostrati sopra, il secondo grafico è di certo ottimo per frenare un po' l'entusiasmo generato dal primo, ma è evidente che il contesto tecnologico del 1975 (vinile = formato dominante, con pochi rivali) è nettamente diverso da quello del 2015 (vinile = in crescita, ma nicchia): da un lato non può che esserci una montagna, dall'altro un topolino. 

giovedì, aprile 02, 2015

I Led Zeppelin e la leggerezza dei video interattivi


Da un po' di tempo i Led Zeppelin stanno distribuendo versioni deluxe dei loro album. A febbraio, in occasione del 40° anniversario dall'uscita originale, è toccato a Physical Graffiti. Tra le bonus track della ristampa c'è anche Brandy & Coke, una versione alternativa di Trampled Underfoot che in questi giorni è accompagnata su Internet da un video interattivo. Lo trovate sul sito ufficiale della band, ma potete provarlo anche qui sotto: cliccate su una finestra per vedere cosa succede dentro al palazzo e poi, man mano che la canzone va avanti, spostatevi con le frecce da una stanza all'altra. 

La struttura è molto simile a quella di un altro video interattivo, Like a Rolling Stone di Bob Dylan: là si faceva zapping tra canali tv, qui tra le stanze di un edificio. Non è un caso: li ha realizzati entrambi la stessa agenzia, la Interlude (ma la qualità/varietà dei contenuti di Like a Rolling Stone lascia trasparire un budget superiore). Dopo aver speso un paio di minuti su Brandy & Coke, torna a galla un dubbio, espresso di recente da Huw Oliver sul Guardian: a cosa servono i video musicali interattivi? Cosa ci danno? L'antipasto di una rivoluzione o un fatuo fuoco d'artificio?


La risposta non è semplice. In alcuni casi c'è un uso interessante, anche avanguardistico, della tecnologia digitale. Il primo esempio che mi viene in mente è The Wilderness Downtown. Nell'intreccio tra il brano We Used To Wait degli Arcade Fire e Google Street View si intravedeva una ricerca - seppur primitiva per forma e risultato, era il 2010 - sull'idea di video personalizzato, sul mash up con altri strumenti di comunicazione e racconto (le mappe), sulla creazione di un percorso giocato su temi emotivamente forti come la nostalgia e il dialogo con il passato.

Diverso e ancora da valutare è il discorso di esperimenti in realtà virtuale come Stonemilker di Björk, che già da un punto di vista di filosofia della comunicazione e dell'arte si pone in contrasto con il culto dominante dell'accessibilità dei contenuti online: il video è stato concepito per un consumo individuale in luoghi come il MoMA di New York e i negozi Rough Trade (in un matrimonio ideale tra vinilico vintage e futuristico virtuale). In casi simili, ad arricchire l'esperienza in modo decisivo potrebbe essere - oltre all'innovazione tecnologica - proprio il coefficiente di esclusività.

Di fronte a Brandy & Coke dei Led Zeppelin, la sensazione è diversa. Con l'effetto sorpresa (e gran parte del divertimento) che è stato bruciato da Like a Rolling Stone, ciò che rimane è un'idea carina - dare vita al palazzo di Manhattan che compare sulla copertina di Physical Graffiti - tuttavia non sufficiente ad arricchirne il valore artistico, tecnologico (e forse anche promozionale) al punto da permetterne la fuga dal gran recinto 2.0 in cui oggi si ammassa la maggioranza dei contenuti digitali (interattivi e non). Contenuti che - mostrando una natura sempre più orientata verso il leggero divertissement - sembrano quasi aver accettato l'idea di poter esistere giusto il tempo di un like

lunedì, marzo 16, 2015

Quando Michael Jackson comprò le canzoni dei Beatles


Il complesso mondo del diritto d'autore conserva una miriade di aneddoti, curiosità e storie a loro modo avvincenti. Come quella del travagliato destino dell'edizioni del catalogo dei Beatles, che dopo diverse peregrinazioni negli anni Ottanta sono finite nelle mani di Michael Jackson e ancora oggi sono in parte controllate dagli eredi del cantante.

Qualche giorno fa ho trovato un articolo che racconta la vicenda, suddividendola in due parti: How Paul McCartney and John Lennon Lost Ownership of the Beatles catalogue e How Michael Jackson bought the Beatles catalogue and turned it into a billion dollar empire. Il doppio articolo - che ricalca in modo fedele la ricostruzione disponibile su Wikipedia - è molto interessante e spiega diverse cose su come funziona l'industria musicale e su come ad arricchirsi con il sistema del copyright spesso non siano necessariamente o principalmente gli autori delle opere. 

Ecco i passaggi più significativi:

1. Il peccato originale. Nel 1963 John Lennon e Paul McCartney, su suggerimento di Brian Epstein, creano una società destinata a proteggere i diritti sulle edizioni dei loro brani: la Northern Songs. Il problema è che i due artisti - che all'epoca hanno rispettivamente 23 e 21 anni - accettano di controllarne solo il 20% a testa. Il 10% va a Epstein, il 50% a Dick James e Charles Silver. 

2. ATV machine. Dopo una serie di passaggi intermedi, dopo la morte di Epstein e dopo un infruttuoso tentativo da parte di Lennon & McCartney di riprendere il controllo dei brani, nel 1967 James e Silver vendono il loro pacchetto di quote a una compagnia chiamata ATV Music Publishing. 

3. Il lungo addio. Nel 1969, con i Beatles in fase terminale e con il desiderio di liberarsi anche di un vecchio obbligo contrattuale che li avrebbe costretti a scrivere nuove canzoni per la ATV fino al 1973, Lennon e McCartney decidono di vendere alla società anche le loro quote della Northern Songs. Da quel momento ATV controlla il 100% delle edizioni dei brani scritti dai due artisti per i Beatles.

4. Smooth Criminal. Nel 1982 Paul McCartney ospita Michael Jackson per registrare Say Say Say. Una sera, dopo cena, gli mostra una cartellina in cui sono elencate tutte le canzoni di cui detiene i diritti. Perso il repertorio dei Beatles (e senza esser riuscito a convincere Yoko Ono a ricomprarlo assieme), McCartney ha infatti acquisito i diritti di canzoni di altri artisti famosi, arrivando a guadagnare decine di milioni di dollari all'anno. Michael Jackson si dimostra molto interessato e sembra che pronunci la battuta: "Un giorno sarò io a controllare le tue canzoni".

5. Quel giorno non è lontano. Nel 1984 il nuovo proprietario della ATV Music Publishing, il miliardario Robert Holmes à Court, decide di metterla in vendita. Michael Jackson, che negli ultimi due anni ha seguito il consiglio di McCartney e ha iniziato ad acquistare i diritti di centinaia di canzoni, avvia le trattative di acquisto (sembra dopo essersi accertato del disinteresse di McCartney). L'operazione si chiude nell'agosto del 1985, al prezzo di 47,5 milioni di dollari.   

La storia proseguirà negli anni Novanta, con la cessione da parte di Jackson di metà della ATV alla Sony. Oggi dopo la scomparsa dell'artista avvenuta nel 2009, su Wikipedia si legge che "Sony/ATV Music Publishing is the largest music publishing company in the world and is co-owned by Sony Corporation and the Estate of Michael Jackson". E nel suo immenso catalogo, mezzo secolo dopo, ci sono ancora le edizioni dei Beatles. 

venerdì, marzo 13, 2015

Come continuare a usare gli embed nella nuova versione di Spotify

E non vale solo per Avicii.

Periodicamente Spotify aggiorna i suoi software. In questi giorni è toccato al programma utilizzato per ascoltare la musica sul desktop e a giudicare dai commenti per molti utenti più che un upgrade si è trattato di un downgrade: un peggioramento. Le critiche sono molte e si concentrano non tanto sulle nuove funzioni (come la possibilità di visualizzare i testi delle canzoni attraverso Musixmatch, già disponibile in passato e adesso resa di default), quanto nei confronti di quelle che erano presenti sulle vecchie versioni del software e che Spotify ha deciso di eliminare. Se è vero che critiche del genere sono la norma di fronte al cambiamento di qualcosa a cui si è abituati, è altrettanto vero che dal programma sono scomparse alcune opzioni non di secondo piano. Per esempio, l'embed.

L'importanza dell'embed
Nei corsi di giornalismo e scrittura digitale, tendo sempre a sottolineare come la possibilità di incorporare contenuti esterni sia una delle funzioni caratteristiche della narrazione su Internet. Il mezzo digitale non è un foglio di carta fatto per essere riempito solo di parole o disegni: testo e immagini svolgono ancora un ruolo importante, ma in sinergia con video, mappe, suoni e altri strumenti più o meno multimediali, più o meno interattivi. È un fatto ancora più evidente in un contesto sociale e tecnologico come quello contemporaneo, in cui la comunicazione è ormai dominata dagli schermi. Gli embed possono arricchire e rendere più completa l'informazione e oggi sono resi disponibili da tantissimi servizi Web: si possono incorporare i tweet, i video di YouTube e Vimeo, le Google Maps, i brani di SoundCloud, le foto di Flickr o Getty e molto altro ancora. Se dosati/usati correttamente, sono elementi che spesso migliorano di molto un contenuto.

Fino a due giorni fa, si poteva embeddare facilmente anche le canzoni, gli album e le playlist di Spotify. Io lo faccio regolarmente su questo sito (per esempio nelle recensioni degli album della settimana) e su Spotirama, ma non si tratta solo di un vezzo personale: è un'abitudine ormai consolidata sui blog e sui siti d'informazione musicale e non. Un'abitudine logica: io ti parlo di un album e ti offro anche la possibilità di ascoltarlo, magari mentre leggi l'articolo. Questa è la vera potenza di Internet e della tecnologia: risolvere i problemi, aggirare gli ostacoli, ridurre i passaggi superflui di una vita che sta diventando più trafficata di un incrocio stradale a Tokyo.

Nella nuova versione desktop di Spotify, questa funzione è scomparsa. Vi si accedeva in modo semplicissimo (tasto destro del mouse + copia codice d'incorporamento), ma adesso l'opzione copia codice d'incorporamento non appare più nel menù a tendina. In realtà esistono ancora due possibilità di incorporare la musica, anche se sono molto più macchinose. La prima è lavorare con l'html: prendi un codice embed da un vecchio post e sostituisci a mano il tipo di contenuto che vuoi incorporare ("track", "album", "playlist") e il suo URI (uniform resource identifier, si trova alla voce copia link). Più semplice è passare da questa pagina, disponibile sulla sezione per gli sviluppatori di Spotify: https://developer.spotify.com/technologies/widgets/spotify-play-button/. Si copia il link, lo si incolla nella prima finestrella e nella seconda appare il codice embed (come mostrato nell'immagine in apertura).

Ho provato i due metodi e sembrano funzionare entrambi. Qi sotto, per esempio, c'è la playlist dove sto raccogliendo tutti gli album che ho ascoltato nel 2015. Non trovate che sia semplice e logico inserirla direttamente nel post, invece che rimandare a lei con un link e farvi aprire un'altra pagina?
Il cliente ha ancora ragione?
Rimane un dubbio: perché Spotify ha reso più complicata una funzione che prima era così semplice? E perché sembra volerla riservare solo agli sviluppatori? È forse il primo passo verso la neutralizzazione definitiva dell'embed, un po' come è stata cancellata del tutto la possibilità di ordinare i risultati di ricerca in base a titolo, artista, album durata e popolarità? (anche l'escamotage utilizzato negli ultimi due anni non funziona più...)

Agli utenti occasionali, forse anche alla maggioranza di quelli più assidui, sembreranno problemi di poco conto. In fondo la musica è sempre lì e il prezzo degli abbonamenti non è aumentato. A parere di chi scrive, si tratta invece di cambiamenti preoccupanti. Innanzitutto, perché non sembrano motivati. Perché togliere delle funzionalità che sono già attive e che non hanno ricevuto dal pubblico critiche o altri segnali di mancanza di gradimento? 

Inoltre, perché indicano una sterzata piuttosto brusca verso la limitazione delle opzioni offerte al cliente. In una sorta di capriola verso l'1.0, Spotify sembra aver deciso di iniziare a ridurre le possibilità di scelta dei suoi abbonati, indirizzando l'ascolto verso ciò che vuole lei (altrimenti perché impedire di mettere in ordine le ricerche?) e riportando le playlist in un ovile più protetto e recintato (l'addio all'embed).

Può anche darsi che siano i primi segnali di una più marcata transizione della piattaforma verso il mobile, probabilmente individuato come il mercato strategico prioritario per il futuro: su smartphone e tablet la fruizione musicale è dominata dal semplice streaming e dalle funzioni social più immediate ("mi piace" e dintorni). Le ricerche complesse e gli embed sono assai meno importanti che sul desktop. Comunque sia, è un peccato. Un servizio che per me ha sempre rappresentato il perfetto e possibile equilibrio tra legalità e funzionalità (almeno dal punto di vista dell'ascoltatore, non tocco qui la delicata questione del compenso agli artisti) inizia a mostrare le prime e spiacevoli crepe.

mercoledì, marzo 04, 2015

La cassettina dei Metallica

L'artwork della cassettina (con la calligrafia di Lars Ulrich)

In un'intervista a Rolling Stone, Lars Ulrich annuncia che i Metallica parteciperanno il 18 aprile al Record Store Day: non con un vinile, bensì con una musicassetta. Ebbene sì, musicassetta: quel manufatto del Novecento che gli under 30 non hanno mai conosciuto e che agli over 30 risveglia memorie di penne bic, walkman e placida lentezza. La cassettina sarà la riproduzione di No Life 'Til Leather, uno dei primi demo della band, risalente al 1982. In estate seguiranno le versioni in vinile e digitale. Per i Metallica, è il battesimo di una probabile serie di ristampe (ultraredditizia, visto che la band è ormai indipendente e controlla tutto il suo catalogo); per il marketing musicale è un nuovo capitolo della celebrazione commerciale dei vecchi supporti analogici; per YouTube, l'occasione per ripetere “pfui, io sono arrivata prima”. Il demo circola da tempo nel circuito dei bootleg ed è già finito nel calderone web (vedi sotto).

giovedì, gennaio 01, 2015

Otto cose che ho imparato sulla musica del 2014 (preparando compulsivamente playlist su Spotify)

Non fosse per quel morso ricevuto sul set di The Walking Dead, per Adam Granduciel
dei The War On Drugs (qui con la fidanzata Krysten Ritter) è stato un 2014 meraviglioso.

1. L'album dell'anno non è così facile da prevedere
Secondo la Top 50 di Acclaimed Music che aggrega centinaia di classifiche internazionali, il disco più amato dalla critica nel 2014 è stato Lost in the Dream dei The War on Drugs. Seguono gli album di FKA twigs, St. Vincent, Run The Jewels, Caribou, Sun Kil Moon. Alzi la mano chi il 1° gennaio 2014, o nelle settimane successive alla sua pubblicazione, avrebbe immaginato che Lost in the Dream potesse ottenere un simile risultato. 

2. Voltare le spalle allo streaming può essere penalizzante 
Il sospetto mi viene osservando il pessimo risultato di Tomorrow's Modern Boxes di Thom Yorke, che nella chart di Acclaimed Music si ferma al 126° posto, menzionato praticamente solo da Rolling Stone USA e dalla triade inglese NME/Uncut/Q (sempre in posizioni di rincalzo). Coerente nella sua battaglia contro "i moderni gatekeeper della musica", l'artista non ha distribuito l'album su Spotify e iTunes. Al di là del valore del disco, quanto ha influito - soprattutto nei giudizi dei blogger e dei recensori più digitalizzati - la sua anomala/difficile reperibilità online?

3. Però ormai sono piuttosto pochi quelli che voltano le spalle allo streaming
Nella Top 50 di Acclaimed Music solo tre album non sono disponibili su Spotify: 1989 di Taylor Swift (20° posto), Manipulator di Ty Segall (30°) e Faith in Strangers di Andy Stott (39°). È il valore più basso degli ultimi anni: nel 2013 furono cinque (My Bloody Valentine, Bill Callahan, Chance The Rapper, Run The Jewels e gli Atoms For Peace del davvero coerente e coriaceo Thom Yorke), così come nel 2010 (mancavano Arcade Fire, Joanna Newsom, Flying Lotus, Sufjan Stevens e Avi Buffalo). 

4. E comunque essere super-reperibile non offre chissà quali garanzie
Chiedere per conferma a Songs of Innocence degli U2. I milioni di copie recapitate negli iTunes del mondo (e la completa disponibilità sui principali servizi streaming/download) non hanno aiutato la band irlandese a (ri)entrare nei cuori della critica. A parte la sbornia del Rolling Stone americano (album dell'anno!), Songs of Innocence è desaparecido quasi ovunque e nella classifica Acclaimed Music si ferma al 149° posto. (Disclaimer: a me è piaciuto, ma nel mio cuore di fan loro sono riusciti a (ri)entrare, quindi non faccio molto testo)  

5. Il voto delle recensioni può non coincidere con il ranking finale
Tra le playlist che curo durante l'anno su Spotirama, ce ne sono un paio dedicate agli album che ricevono i voti più alti nelle recensioni su Pitchfork (Pitchfork 8.0) e sull'aggregatore Metacritic (Metacritic 75). Non ho ancora pubblicato gli aggiornamenti finali, ma sono andato a dare un'occhiata a quelli di novembre. Non c'è piena coincidenza tra i voti delle recensioni e le classifiche di fine anno: una recensione stratosferica (vedi Swans) garantisce una buona posizione, ma non il trionfo über alles. Che invece può andare a chi ha ricevuto un giudizio lievemente inferiore (vedi The War on Drugs).

Qualche tabella come esempio:

I 10 nuovi album che hanno ricevuto i voti più alti su Pitchfork nel 2014
1. Benji (Sun Kil Moon), 9.2
1. To Be Kind (Swans), 9.2
3. Run the Jewels 2 (Run The Jewels), 9.0
4. Lost in the Dream (The War On Drugs), 8.8
4. LP1 (FKA twigs), 8.8
4. Atlas (Real Estate), 8.8
4. What Is This Heart? (How To Dress Well), 8.8
4. Ruins (Grouper), 8.8
4. pom pom (Ariel Pink), 8.8
4. Beyoncé (Beyoncé, pubblicato a dicembre 2013), 8.8

I primi 10 posti della classifica di fine anno di Pitchfork
1. Run the Jewels 2 (Run The Jewels)
2. LP1 (FKA twigs)
3. Lost in the Dream (The War On Drugs)
4. Syro (Aphex Twin)
5. Ruins (Grouper)
6. To Be Kind (Swans)
7. Benji (Sun Kil Moon)
8. It's Album Time (Todd Terje)
9. pom pom (Ariel Pink)
10. Our Love (Caribou)
(a giudicare dai voti, teoricamente Swans e Sun Kil Moon avrebbero dovuto trovarsi molto più in alto; gli album di Real Estate e How To Dress Well sono scivolati rispettivamente al 14° e 29° posto)

La classifica dei valori più alti su Metacritic degli album usciti nel 2014
1. Run The Jewels 2 (Run The Jewels), 90 punti (valore medio basato sulle recensioni di decine di giornali e siti internazionali)
2. St. Vincent (St. Vincent), 89
2. To Be Kind (Swans), 89
2. Syro (Aphex Twin), 89
5. Perfume Genius (Too Bright), 88
5. You're Dead (Flying Lotus), 88
8. LP1 (FKA twigs), 87
8. Are We There (Sharon Van Etten), 87
9. Wild Beasts (Present Tense), 86
10. Lost in the Dream (The War On Drugs), 85
10. Benji (Sun Kil Moon), 85
(un'altra dimostrazione di come l'innamoramento finale universale per i The War On Drugs abbia superato ampiamente la pur forte infatuazione al momento della pubblicazione del disco)

6. La giovine Italia si è ormai abituata a Spotify
E si è allineata alle percentuali degli altri paesi. Su Spotirama in genere pubblico playlist anglo(americano)centriche, ma ogni tanto ne scappa anche qualcuna relativa al nostro paese. Per esempio, è ormai un'abitudine spotifizzare la Top 100 delle migliori canzoni italiane dell'anno secondo Rockit. Da questo punto di vista, è interessante notare la progressiva diffusione di Spotify tra artisti del circuito rock/indipendente/underground italico. Nel 2014 ho trovato 88 brani su 100, in crescita rispetto agli 85 del 2013 e soprattutto rispetto ai poverelli 47 del 2010 (quando però, bisogna dirlo, il servizio non era ufficialmente aperto in Italia).

7. David Letterman è uno strumento promozionale che funziona ancora...
... per poco, visto che ha annunciato la pensione nel 2015, ma alla grande. Al primo posto nella classifica dei brani dell'anno secondo il giudizio della critica internazionale (sempre basata su un foglio elettronico amorevolmente curato da un utente del forum di Acclaimed Music) c'è Seasons (Waiting On You) dei Future Islands. Il brano è esploso a marzo, in seguito all'esibizione della band nello studio del Late Show With David Letterman (anche grazie alla non indifferente danza da ranocchio hobbit sfoderata dal cantante Gerrit Welmers).



8. Pubblicare un album a dicembre ha qualche controindicazione
Chi pubblica un album a dicembre rinuncia a partecipare al giochino delle classifiche di fine anno. Senza se e senza ma. Le classifiche di fine anno infatti sono in realtà localizzate tra la fine di novembre e la prima metà di dicembre: un po' perché i mensili vogliono averle in edicola nell'ultimo numero dell'anno, un po' perché i siti Web fanno a gara per uscire per primi. Il caso di esclusione più eclatante del 2013 fu Beyoncé, il cui omonimo Beyoncé (generalmente apprezzato dalla critica, vedi Pitchfork sopra) fu pubblicato a sorpresa il 13 dicembre. Quest'anno è stata la volta di Black Messiah di D'Angelo, che ha ricevuto giudizi critici più alti di tutti gli altri dischi in vetta alle chart del 2014 (9.4 su Pitchfork, 95 di valore medio su Metacritic) ma è stato pubblicato il 15 dicembre, cioè dopo la diffusione di tutte le principali classifiche di fine anno (tranne poche, individuali ed encomiabili eccezioni: vedi la Top 15 di Eddy Cilia, diffusa con sacra puntualità il 31 dicembre). 

martedì, dicembre 30, 2014

Aphex Twin e il software dei suoni che si biforcano


Il giardino dei sentieri che si biforcano è un racconto del 1941 di Jorge Luis Borges, che potete recuperare nell'antologia Finzioni. Non è molto lungo, circa una dozzina di pagine, ma racconta una storia infinita. Durante la Prima Guerra Mondiale, la spia cinese Yu Tsun deve comunicare agli ufficiali dell'Impero Tedesco la posizione di un corpo di artiglieria britannica. Nel farlo si imbatte in Stephen Albert, un sinologo che gli spiega di aver decifrato il significato dell'opera di un suo lontano antenato, Ts'ui Pên: un romanzo-labirinto intitolato Il giardino dei sentieri che si biforcano.  
"In tutte le finzioni ogni volta che un uomo si trova di fronte a diverse alternative, opta per una di esse ed elimina le altre; in quella del quasi inestricabile Ts'ui Pên, opta - simultaneamente - per tutte. Crea, così, diversi futuri, diversi tempi, che a loro volta proliferano e si biforcano. Di lì le contraddizioni del romanzo. Fang, diciamo, ha un segreto; uno sconosciuto bussa alla sua porta; Fang decide di ucciderlo. Naturalmente, ci sono vari scioglimenti possibili: Fang può uccidere l'intruso, l'intruso può uccidere Fang, entrambi possono salvarsi, entrambi possono morire, eccetera. Nell'opera di Ts'ui Pên, si verificano tutti gli scioglimenti: ciascuno di essi è il punto di partenza di altre biforcazioni".
In origine semplicemente meraviglioso, suggestivo e visionario, con il trascorrere dei decenni e l'evoluzione delle tecnologie il racconto di Borges è diventato straordinariamente profetico. Soprattutto quando, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, prima sulla carta dei libri game, poi nelle pieghe delle prime narrazioni digitali, infine nell'esplosione collettiva di Internet, si è diffuso il paradigma dell'ipertesto e i contenuti hanno iniziato a muoversi per associazioni e link, aprendosi a variazioni potenzialmente infinite. 

Seguendo l'esempio e il destino dei contenuti - potenziati/liberati/mutati dalla bacchetta magica digitale - pian piano anche la creatività ha imboccato impetuosamente e in modo sempre più ambizioso/coraggioso i sentieri che si biforcano. Prova ne è la diffusione (e il successo) - varcata la soglia simbolica dell'anno 2000 - di quelle narrazioni spettacolari come LostInception o Interstellar, che giocano sullo scardinamento e la moltiplicazione dei piani spaziotemporali. Un omaggio diretto, esplicito fin dal titolo, è l'episodio della serie FlashForward The Garden of Forking Paths.

In un'ideale e inarrestabile progressione, Il giardino di Borges ha compiuto poi un altro passo, uscendo dai confini della comunicazione e della narrazione e arrivando a influenzare l'universo della filosofia e la filosofia dell'universo. A suo modo debitrice del racconto è infatti la teoria del multiverso, un mix di fantascienza e fisica d'assalto che ipotizza l'esistenza di infinite dimensioni parallele, alternative a quella in cui viviamo, tante quanti sono i sentieri biforcati che si pongono ogni giorno di fronte al nostro cammino. Mentre in questo universo voi state leggendo questo post, in un altro magari siete già passati a qualcos'altro... 
 "... il suo antenato non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempi, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli".
A cosa si deve tutto questo preambolo, che forse vi starà annoiando e davvero spingendo a imboccare un altro sentiero? E perché nel titolo di questo post si cita il produttore e musicista britannico Aphex Twin? La causa è il frammento di un'intervista pubblicata dal magazine tedesco Groove, nel quale Aphex Twin afferma di aver commissionato lo sviluppo di un software molto particolare: un generatore di musica biforcante e mutante, ennesimo erede dell'immaginazione di Borges e figlio quasi inevitabile di questo nostro tempo così incline al caos e alla multiversità.

Prima di parlare del software, è necessaria un'ultima premessa: anche l'intervista di Groove - nella forma, nello sviluppo e nello spirito - è bella e mutante. Soprattutto, è decisamente diversa rispetto alla struttura standard delle interviste musicali. Per celebrare il suo venticinquesimo compleanno, la rivista tedesca ha chiesto a 25 famosi DJ e produttori (tutti già passati dalla copertina del giornale) di porre una domanda a testa ad Aphex Twin. Si tratta di nomi famosi, protagonisti della scena elettronica contemporanea come Apparat, Richie Hawtin, Caribou, James Holden, Skrillex...

Uno degli interlocutori è Mate Galic, dirigente della Native Instruments, azienda specializzata nella produzione di hardware e software musicali. La domanda di Galic è: "Come sei passato dall'hardware al software nel tuo processo di produzione musicale? Sei tornato indietro? Come è cambiato il tuo modo di scrivere musica?". Dopo aver riconosciuto l'autore della domanda ("è il tizio di Native Instruments, giusto?") Aphex Twin risponde, tra le altre cose: 
"Di recente ho assunto uno sviluppatore cinese, chiedendogli di creare un programma. L'obiettivo è introdurre il concetto di mutazione nel mondo dei software musicali. Tu fornisci al programma alcuni suoni di partenza e lui ti restituisce sei variazioni, tra le quali tu scegli quella che ti interessa, che diventa lo spunto per ulteriori sei variazioni. A un certo punto il software prova a scegliere lui stesso le variazioni. (...) Randomizza, confronta, sceglie la versione migliore" (la traduzione della risposta è mia, con qualche licenza sparsa...).
Sentieri musicali che si biforcano. Tu dai l'input, loro crescono, propongono/propagano nuove opzioni, generando con la complicità della macchina un ipotetico punto di contatto tra la nostra realtà individuale, la creazione musicale e il metaverso borgesiano. Potrebbe essere uno scherzo: dicono che non si debba mai prendere le parole di Aphex Twin come oro colato. Ma l'idea - vicina al filone dei software di musica generativa - è affascinante e arriva dall'autore di quello che forse è l'unico disco pseudo-mainstream del 2014 (Syro) che si avvicina al sogno di inventare una sinfonia contemporanea. Chissà se esiste e se mai vedrà la luce, questo software. Certo non poteva che essere commissionato a un misterioso sviluppatore cinese, come lo Yu Tsun di Borges.

martedì, novembre 18, 2014

L'ottimismo di Steve Albini: "Internet ha migliorato e migliorerà la musica"

Steve Albini: "Ma la smettete di lamentarvi?"
Se c'è un ingrediente che oggi è completamente assente dalla discussione globale su musica e Internet, questo è l'ottimismo. Ovunque ti volti, troverai qualcuno che si lamenta del presente e profetizza morte e disperazione per il futuro. Non vale solo per la musica ed è un'altra bella differenza rispetto all'aria che si respirava anche solo pochi anni fa (diciamo, per calcare la mano su una personale idiosincrasia, prima che lasciassimo che l'umore della società venisse deciso dai social network). Fa quindi un certo effetto leggere un intervento come quello con cui il musicista e produttore Steve Albini ha aperto la conferenza Face The Music di Melbourne.

Per una volta, non c'è traccia di moriremo tutti. Al suo posto, un concentrato di positività su ciò che Internet ha fatto alla musica, su quanto le cose siano migliorate rispetto a venti anni fa e su come potrebbero andare addirittura meglio nei prossimi venti. Albini è un personaggio forte, dotato di un'etica del lavoro assai rigorosa e di idee altrettanto spigolose, soprattutto nei confronti del mondo delle major discografiche: le detestava quando gli commissionavano la produzione di In Utero e le detesta ancora oggi.

La bellezza di Internet secondo lui è in gran parte legata proprio alla possibilità offerta agli artisti di sganciarsi dal sistema delle major e di muoversi con le proprie gambe. Raggiungendo, grazie al web, anche latitudini mai toccate in passato (da leggere, al proposito, l'esempio della tournée degli Shellac nei Balcani). Il che non vuol dire accettare per forza tutto ciò che passa per il web: gli stessi Shellac, per esempio, per ora non hanno concesso nemmeno mezza canzone a Spotify (non a caso, il servizio di streaming è invece ben visto dalle major...).

Proprio per la caratura e il curriculum del personaggio, l'intervento suona come sorprendente e spiazzante. Sotto il cielo della disillusione contemporanea, i tecno-entusiasti sono sempre più rari e in genere corrono il rischio di essere additati come ingenui sprovveduti (nella migliore delle ipotesi) o rapaci opportunisti (nella peggiore). Non credo che Albini appartenga a nessuna di queste categorie. Se avete un po' di tempo, vi consiglio di leggere il testo integrale del suo discorso, pubblicato (in inglese) dal Guardian. Chi vede in Internet il Male, unico responsabile di tutte le ingiustizie che ci stanno capitando, potrà forse smussare le sue posizioni. O se non altro godersi un bel ricordo di John Peel (“l'uomo che ascoltava religiosamente tutta la musica che riceveva”) e sorridere sui riferimenti non proprio politically correct a colleghi come Prince o Miley Cyrus.

(aggiornamento del 19 novembre, su YouTube c'è anche il video integrale)

giovedì, novembre 13, 2014

Chi ha rovinato il nostro rapporto con la musica: Napster o Facebook?

Co-fondatore di Napster, ex-presidente di Facebook, Sean Parker osserva perplesso il titolo di questo post
Cito un brano da un articolo dello scrittore Paolo Giordano, pubblicato su La Lettura e segnalato da Franco Zanetti su Rockol.
Certo, non avrei immaginato di sentirmi obsoleto così presto, o almeno che il mio mondo lo diventasse così in fretta. Non avrei immaginato di ritrovarmi, a trent’anni, a fare archeologia sulla mia adolescenza. Ma qualcosa è davvero cambiato in un istante. Tutt’a un tratto — accadeva all’incirca un decennio fa — gli hard-disc dei nostri computer erano affollati di musica, musica messa insieme alla rinfusa, dove le ultime hit commerciali convivevano accanto ai bootleg introvabili, le une e gli altri neppure separati dall’intercapedine dignitosa di una cartella. Schermate e schermate di file mp3 disposti in un irriverente ordine alfabetico: un’orgia di suono. Nei primi tempi quella visione mi dava le vertigini, come se da bambino mi fossi imbattuto nella casa di marzapane in mezzo al bosco. La fame di canzoni di un’intera generazione, una fame che ci era apparsa insaziabile, era all’improvviso scomparsa. Potevamo disporre di tutti i dischi, subito e senza sforzo. Voltandosi a guardare la collezione di cd messa insieme in un decennio e conservata fino ad allora con sacralità, c’era da provare perfino un po’ di imbarazzo. Quelle raccolte, con il loro ingombro, ci avrebbero perseguitato di casa in casa, e ogni volta sarebbe sembrato più bizzarro dover trovare loro un posto da occupare. Ma dopo la scorpacciata iniziale di Napster e eMule, abbastanza presto in effetti, emerse anche una sommessa nausea, come un’indifferenza latente a tutto ciò che potevamo ottenere così in fretta e copiare all’infinito da un supporto all’altro e conservare senza troppi riguardi. Una sensazione che fino a oggi non ha fatto altro che aggravarsi. Abbiamo scoperto che la passione per la musica non era incorruttibile, ch’essa si fondava anche sull’aura di lusso e irraggiungibilità che circondava l’oggetto-disco (sarà poi tanto diverso il feticismo per i dispositivi elettronici che l’ha prontamente rimpiazzata?). Venuta a mancare la smania del possesso, della conquista, perdevamo tutti quanti anche una percentuale di godimento. Quando si parla oggi del grande tramonto dell’industria discografica, si tende a minimizzare, ad affermare che in fin dei conti a essere cambiato è soltanto il modo di fruizione. Ma non è così. Ci vergogniamo di ammettere che l’accessibilità alla musica ha infine deprezzato anche la musica stessa. Non ne ha modificato la qualità intrinseca, ovvio, ma ha diminuito il valore che siamo disposti ad attribuirle. Per questo, una bella canzone del presente, per quanto innovativa e provocatoria, non eguaglierà mai "Smells like Teen Spirits", non potrà anelare ad altrettanta gloria, e i Beatles, beati, resteranno imbattuti per l’eternità.
Avendo scritto un libro come La musica liberata, in cui si celebrano apertamente le virtù di alcuni dei passaggi citati nell'articolo di Giordano, ho un certo imbarazzo nell'ammettere di provare spesso la stessa "sommessa nausea" di fronte alla massa informe di canzoni, album, video live e altri frammenti musicali che ci aggrediscono ogni giorno su Internet. E di aver iniziato ad adottare una serie di rigorose tecniche per far fronte allo tsunami. Per esempio, ascoltare bene un unico nuovo album alla settimana (in questi giorni tocca a My Favourite Faded Fantasy di Damien Rice: ah, il romanticismo depresso...).

Se però rifletto bene su questa nausea e sulla sua storia, mi rendo conto di una particolarità temporale: nel 2009, l'anno in cui scrissi La musica liberata, un decennio esatto dopo l'apparizione di Napster, di lei non c'era ancora traccia. E così è stato per almeno altri due anni. Andando a memoria, i primi cattivi umori hanno fatto capolino solo intorno al 2011, accelerando vistosamente negli ultimi quindici/venti mesi. Eppure nel 2009 i miei hard disk erano già rigonfi di MP3. Ai loro massimi storici, tra l'altro, visto che il neonato Spotify stava già iniziando ad arginare il download e ad ampliare i miei orizzonti in altro modo, permettendomi di mettere un po' d'ordine e legalità nel caos. Non è strano? Non avrei già dovuto sentire allora il peso dell'abbondanza digitale? Come mai questo è accaduto solo due anni dopo? Cosa è stato a cambiare le cose?

Dal titolo di questo post, avrete già intuito chi è il mio colpevole preferito. Io credo che l'abbondanza da sola non ci abbia fatto male. Di certo ha deprezzato il valore della musica registrata, portando nuove dinamiche ed enormi problemi sul fronte economico/industriale (poi riverberatisi in tanti altri settori). Ma in fondo sono convinto che noi ascoltatori stessimo sviluppando in modo abbastanza naturale gli anticorpi per gestire quella massa di contenuti. La nausea - almeno nel mio caso - è arrivata dopo. È arrivata con i social network. Con il modo in cui la musica ha subito una mutazione non tanto di valore commerciale o numerica, bensì esperienziale: non più solo qualcosa da ascoltare, ma qualcosa da raccontare. Da commentare, fotografare, twittare, linkare, condividere, stroncare, bestemmiare. Subito dopo il primo ascolto, a volte addirittura durante il primo ascolto. Sempre: in ogni minuto del giorno. Tutta: la musica bella, la musica media, la musica brutta, la musica necessaria, la musica inutile. Tutti: centinaia, migliaia, decine di migliaia di persone. Prendendo posizione, senza se e senza ma. Non so se Paolo Giordano abbia fatto uso dei social network, può darsi che stiamo parlando di due nausee diverse, nelle cause e negli effetti. Però credo che Facebook e più in generale il social web - oltre a rubarci molto prezioso tempo di lettura/ascolto/visione/riflessione - abbiano stravolto il nostro modo di percepire/vivere la musica (e il nostro piacere nell'ascoltarla) molto più di quanto abbiano fatto Napster, Soulseek, eMule e gli altri moltiplicatori di MP3. 

Questo non vuol dire che non ci sia il problema dell'abbondanza. Bisogna imparare a controllarla e non solo nella musica: anche nelle foto di gattini, nelle storie di sentinelle in piedi, nei video buffi, nella distribuzione/condivisione di news, nelle indignazioni usa-e-getta. Gli input sono molteplici ed è una lotta che si conduce su più livelli, più media, più linguaggi. La mia pratica di ascolto settimanale nasce essenzialmente come antidoto contro l'abbondanza. Ma funziona bene - almeno per ora - solo perché è accompagnata e protetta da una robustissima paratia contro i social network: nei sette giorni di ascolto, sull'album in questione ammetto solo la lettura di recensioni (le più lunghe e dettagliate possibili, niente flash da cinque righe) di una manciata di siti/giornalisti/blogger di fiducia. Tutto il resto è vietato. In particolare ciò che proviene dalla conversazione social: niente lodi, niente invettive, niente status, niente tweet, niente "che merda!" buttati a casaccio, giusto per segnare il territorio. Ci siamo solo io, la musica che scelgo nell'oceano e un supporto critico per comprenderla meglio. E pian piano la nausea sta lasciando spazio all'antico stupore nel trovarsi a portata di mano - e poter selezionare liberamente e personalmente - la ricchezza e la varietà della creatività umana. 

giovedì, novembre 06, 2014

La nuova musica di John Carpenter sui vecchi film di John Carpenter


A volte per promuovere un contenuto online non c'è bisogno di tanta fantasia: basta fare uno più uno e sfruttare le potenzialità multimediali offerte dal mezzo. Prendiamo John Carpenter, maestro del cinema horror (e non solo), autore di capolavori come La Cosa, Halloween, Distretto 13 - Le brigate della morte, Essi vivono, Il seme della follia... Appassionato di musica e compositore di molte delle colonne sonore dei suoi film, Carpenter pubblicherà nel 2015 l'album John Carpenter's Lost Themes.

Il disco raccoglie brani inediti, ma per lanciare il primo singolo online Carpenter ha deciso di creare un legame artificiale tra la musica e il cinema. Come? Lasciando scorrere in loop, sotto le note del brano Vortex, un supercut di spezzoni dei suoi film più famosi. Il risultato, visibile su johncarpenter.sacredbonesrecords.com, è un mash up semplice ma meraviglioso, anche leggermente ipnotico, che gli appassionati del grande regista americano non potranno che apprezzare.

lunedì, novembre 03, 2014

Il revival del vinile (e l'evoluzione del digitale) in un'infografica


Pur tenendo conto che si tratta di dati in buona parte relativi al 2013 (quindi non aggiornatissimi), l'infografica realizzata da Laura Creed del negozio di hi-fi e home cinema Superfi riassume bene la trasformazione in corso nel mondo della musica: dove - dopo gli anni '90 dominati dal cd e gli '00 in mano a iTunes/iPod - sembra proporsi un duopolio basato su vinile e streaming. Non ancora a livello di valori assoluti, ma in termini di percentuali di crescita e percezione dell'umore del pubblico (che non sembra soffrire troppo al pensiero di una scomparsa di download e compact disc). Un trend globale confermato dai dati sul mercato italiano resi noti la settimana scorsa.
(sotto in versione mignon, più leggibile su Hypebot)





sabato, novembre 01, 2014

The NYC Wi-Fi Orchestra


Signal Strength è un brano composto da Lev LJOVA Zhrubin per un'orchestra di musicisti di strada newyorchesi. Dopo aver assegnato le parti Zhrubin ha invitato i musicisti a suonare live in nove diverse fermate della metropolitana di New York. A collegare l'orchestra con il suo direttore ci ha pensato il Wi-Fi. Il risultato è nel video qui sotto. 


L'esperimento di LJOVA rientra in quel ricco filone delle collaborazioni artistiche rese possibili dalla tecnologia e ricorda uno spot del 2009 del provider Orcon, in cui Iggy Pop suonava The Passenger, a distanza oceanica (letteralmente), assieme a un gruppo di giovani musicisti neozelandesi.


lunedì, ottobre 13, 2014

Targhe Tenco 2014 - Le playlist Spotify con brani e album nominati


A voler essere generosi, quest'anno ho dedicato alla musica italiana più o meno il 5% dei miei ascolti. Troppo poco: è giunto il momento di rimediare.

Sono state pubblicate le liste complete delle candidature alle Targhe Tenco 2014, riconoscimento annuale (assegnato dal 1984) alla miglior musica italiana "di qualità". Sono suddivise in cinque sezioni: miglior album, miglior album in dialetto, miglior opera prima, miglior interprete di canzoni non proprie e miglior canzone

Ho pensato che fosse cosa buona e giusta raccoglierle in altrettante playlist su Spotify. Le pubblicherò tutte su questa pagina, utilizzando la formula tipica di Spotirama: prima la playlist, poi l'elenco dei brani e degli album (quelli barrati non sono disponibili su Spotify, ma voi eventuali giurati che capitate da queste parti non fate i birbanti: ascoltate tutto). Buon ascolto.


TARGHE TENCO 2014 - MIGLIOR ALBUM DELL'ANNO
(nomination, 46 album disponibili su 48, segui la playlist)


Altera - I Love Freak
Bandabardò - L'improbabile
Samuele Bersani - Nuvola numero nove
Alessio Bonomo - Tra i confini di un’era
Brunori Sas - Il cammino di Santiago in taxi
Caparezza - Museica
Nicolò Carnesi - Ho una galassia nell‘armadio
Mario Castelnuovo - Musica per un incendio
Cordepazze - L’arte della fuga
Cesare Cremonini - Logico
Edoardo De Angelis - Non ammazzate Anna
Dente - Almanacco del giorno prima
Diaframma - Preso nel vortice
Giuliano Dottori - L'arte della guerra. Vol. 1
Filarmonica Municipale Lacrisi - L’educazione artistica
Eugenio Finardi - Fibrillante
Alessandro Fiori - Cascata
Francesco Forni e Ilaria Graziano - Come 2 Me
Giancarlo Frigieri - Distacco
Michele Gazich - Una storia d’amore e di sangue
Cristiano Godano e Giancarlo Onorato - Ex Live
I Cani - Glamour
Il Pan del Diavolo - FolkRockaBoom
Enzo Jannacci - L'artista
La Metralli - Qualche grammo di gravità
Massimiliano La Rocca - Qualcuno stanotte
Le Luci Della Centrale Elettrica - Costellazioni
Cesare Malfatti - Una mia distrazione + 2
Mannarino - Al Monte
Massimo Volume - Aspettando i barbari
Nada - Occupo poco spazio
Nobraino - L'ultimo dei Nobraino
Non Voglio Che Clara - L'amore fin che dura
Pacifico - In cosa credi. Canzoni nascoste n.1
Susanna Parigi - Apnea
Pippo Pollina - L’appartenenza
Daniele Ronda - La rivoluzione
Ivan Segreto - Integra
Riccardo Sinigallia - Per tutti
The Niro - 1969
Carmine Torchia - Bene
Davide Tosches - Luci della città distante
Roberto Vecchioni - Io non appartengo più
Virginiana Miller - Venga il regno
Peppe Voltarelli - Lamentarsi come ipotesi
Yo Yo Mundi e Andrea Pierdicca - La solitudine dell’ape
Zen Circus - Canzoni contro la natura
Zibba & Almalibre - Senza pensare all’estate


TARGHE TENCO 2014 - MIGLIORE CANZONE DELL'ANNO
(nomination, 47 brani disponibili su 49, segui la playlist)


3 Fingers - Guitar Ingresso
Franco Battiato e Antony - Del suo veloce volo
Samuele Bersani - En e Xanax
Betti Barsantini - Dissocial Network
Brunori Sas - Kurt Cobain
Caparezza - Mica Van Gogh
Pierpaolo Capovilla - Dove vai
Mario Castelnuovo - Annie Lamour
Cesare Cremonini - Logico #1
Cristiano De André - Il cielo è vuoto
Dente - Invece tu
Diodato - Babilonia
Egokid - Il re muore
Fabi / Silvestri / Gazzè - L'amore non esiste
Piergiorgio Faraglia - L'uomo nero
Eugenio Finardi - Le donne piangono in macchina
Eugenio Finardi - Lei s'illumina
Galoni - Carta da parati
Filippo Graziani - Le cose belle
I Cani - Come Vera Nabokov
Il Pan del Diavolo - FolkRockaBoom
Enzo Jannacci feat. J-Ax - Desolato
Giacomo Lariccia - Sessanta sacchi di carbone
Le Luci della Centrale Elettrica - I destini generali
Lo Stato Sociale - C'eravamo tanto sbagliati
Mannarino - Malamor
Stefano Marelli - Immobile
Marta sui Tubi e Franco Battiato - Salva gente
Massaroni Pianoforti - Carlo
Massimo Volume - Dio delle zecche
Massimo Volume - La cena
Mina - La palla è rotonda
Pietra Montecorvino - Esagerata
Nada - Occupo poco spazio
Nobraino - Bigamionista
Non Voglio Che Clara - Le mogli
Pacifico - In cosa credi
Susanna Parigi - Donne esoteriche
Perturbazione - L’unica
Daniele Ronda - La rivoluzione
Vasco Rossi - Dannate nuvole
Riccardo Sinigallia - Prima di andare via
Davide Van De Sfroos - Goga e Magoga
Roberto Vecchioni - Io non appartengo più
Virginiana Miller - Anni di piombo
Virginiana Miller - Lettera di San Paolo agli operai
Virginiana Miller - Tutti i santi giorni
Zen Circus - Viva
Zibba - Senza di te


TARGHE TENCO 2014 - MIGLIOR ALBUM IN DIALETTO
(nomination, 27 album disponibili su 33, segui la playlist)



99 Posse - Curre curre guagliò 2.0
Agricantus - Turnari
Enzo Avitabile - Music life O.s.t.
Antonio Castrignanò - Fomenta
Valeria Cimò - Terramadonna
Contrada Lorì - Doman l’è festa
Francesco Di Bella - Francesco Di Bella & Ballads Cafè
Mimmo Epifani - Pe’ i ndò
Foja - Dimane torna ‘o sole
Enzo Gragnaniello - Live
Giancarlo Guerrieri - Pazzu
Il Muro del Canto - Ancora ridi
Francesca Incudine - Iettavuci (solo un brano)
Lassociazione - Libere correnti dorsali
Canio Loguercio - Amaro Ammore
Canio Loguercio - Canzoni sussurrate lo-fi
Lou Tapage - Finisterre
Luca Maciacchini - Quando eravamo quasi nemici
Mascarimirì - Tam!
Gianni Pellegrini - Ferlizze
Matilde Politi e Compagnia Bella - Vacanti sugnu china
Pupi di Surfaro - Suttaterra
Radicanto - Oltremare
Luca Rossi - Pulecenella love
Rua Port'Alba - Storia di uno
Sossio Banda - Sugne
Sud Sound System - Sta tornu
Taranproject Mimmo Cavallaro & Cosimo Papandrea - Sonu
Adriano Tarullo - Anch'io voglio la mia auto blues
Valeria Tron & Joglar - Leve les yeux
Unavantaluna - Isula ranni
Davide Van De Sfroos - Goga e Magoga
Loris Vescovo-  Peninsolâti


TARGHE TENCO 2014 - MIGLIOR ALBUM OPERA PRIMA
(nomination, 32 album disponibili su 37, segui la playlist)


Angelica Mente - Inverno rosso – Inverno blu
Alessio Arena - Bestiari(o) familiar(e)
Bardamu - Asa Nisi Masa
Betti Barsantini - Betti Barsantini
Dario Buccino - La costrizione della nudità
Pierpaolo Capovilla - Obtorto collo
Marcello Capozzi - Sciopero
Claudia Cestoni - La casa di Claudia
Luca D’Aversa - Luca D’Aversa
Paola Donzella - Confine
Serena Finatti - Serena più che mai
Leo Folgori - Vieni via
Gli Amanti - Strade e santi
Filippo Graziani - Le cose belle
Il Vocifero - Amorte
Domenico Imperato - Postura libera
I Viaggi di Jules - Entronauta
Johann Sebastian Punk - More Lovely And More Temperate
La Rappresentante di Lista - (Per la) via di casa
Levante - Manuale distruzione
Lo Sburla - I masochisti
Ylenia Lucisano - Piccolo universo
Michele Mainardi - Senza convenzioni
Manupuma - Manupuma
Stefano Marelli - Facile o felice
Davide Matrisciano - Il profumo dei fiori secchi
Carlo Mercadante - 7 briciole lungo la strada
Molla - Prendi Fiato
Moostroo - Moostroo
Na Isna - Un dio furioso
Sabrina Napoleone - La parte migliore
Niggaradio - Na storia
Punto e Virgola - L'uomo dei tuoi sogni
Cassandra Raffaele - La valigia con le scarpe
SiVa - Argomenti che non vi interessano, scritti con i piedi
Agnese Valle - Anche oggi piove forte…
Ilaria Viola - Giochi di parole


TARGHE TENCO 2014 - MIGLIOR INTERPRETE DI CANZONI NON PROPRIE
(nomination, 21 album disponibili su 29, segui la playlist)


Renzo Arbore & The Arboriginals - My American Way
Giuliana Bergamaschi - Tropico italiano
Luca Bonaffini - Sette volte Bertoli
Carlone / Li Calzi / Righeira - Italiani
Andrea Celeste - Se stasera sono qui
Beppe Chierici - La cattiva erba
Fausto Cigliano e Gabriella Pascale - Silenzio cantatore
Chiara Civello - Canzoni
Barbara Errico - Sentimentale. Dedicato a Lelio Luttazzi
Fratelli di Soledad - Salviamo il salvabile. Atto II
Giovanardi / Cotto / Curallo - Chelsea Hotel
Patrizia Laquidara - Cara
L'Orchestraccia Sona - Orchestraccia sona
Mango - L’amore è invisibile
Fiorella Mannoia - A te
Mirco Menna - Io, Domenico e tu
Mina - Selfie
Pietra Montecorvino - Esagerata
Orchestra Bottoni - Orchestra Bottoni Live
Gino Paoli e Danilo Rea - Napoli con amore
Susanna Parigi - Il saltimbanco e la luna
Alberto Patrucco e Andrea Mirò - Segni (e) particolari
Punkreas - Radio Punkreas
Raiz e Fausto Mesolella - Dago Red
Massimo Ranieri - Senza 'na ragione
Roberta Rossi e Daniele Bazzanti - Mi sono innamorata di Tenco
Saluti da Saturno - Shaloma locomotiva
Danila Satragno - Christmas in Jazz
Saya 5et - Ho un pinguino nella scarpa


lunedì, ottobre 06, 2014

Sotto assedio

Source

Il mese di settembre mi ha lasciato in eredità la solita domanda esistenzial-tecnologica da 5 centesimi:

È peggio ricevere un album indesiderato degli U2 su iTunes o trovarmi la timeline di Facebook intasata da decine di messaggi di persone che si lamentano di aver ricevuto un album degli U2 su iTunes?

Più che una domanda, diciamo che è un gattino fastidioso che si morde la coda. Tipico della condizione dell'uomo contemporaneo iperconnesso: quello che a colpi di smartphone, sms e notifiche sta scivolando sempre più in una condizione di assedio infinito, circondato dall'esercito degli indesiderata.

Da un lato, a premere sono le ragioni del commercio. In un'epoca in cui diminuiscono le transazioni economiche tradizionali e si dilata la concorrenza globale, i manuali insegnano che la sopravvivenza sta nell'invadere la sfera d'attenzione delle persone. E allora via con i bombardamenti di mass-marketing come quello degli U2 (e noi ingenuotti che ci lamentavamo del guerrilla marketing...)

Dall'altro, ci sono le ragioni social. Nel piccolo delle nostre bacheche, noi seguiamo la stessa strategia. Utilizziamo strumenti di comunicazione “orizzontale” che fondamentalmente si impongono sul prossimo. Invadono il suo schermo. Le modalità sono diverse da quella adottata dagli U2 per la distribuzione di Songs of Innocence, ma gli effetti sulla nostra salute mentale - soprattutto a causa dell'espansione incontrollata dei network e degli ego sociali - possono essere persino più seccanti. 

C'è stato un momento in cui si brindava a Internet come liberatrice dal regime della verticalità: da passivo destinatario di contenuti piovuti dall'alto, l'utente diventava attivo esploratore. A lui veniva fatto dono della possibilità di scelta, lui diventava unico responsabile dei propri consumi. In parte, è ancora così. Ma negli ultimi dieci anni sono cambiate molte cose. Seducente come un like, il 2.0 ha sviluppato un sistema tecnologico in cui i contenuti non ci cadono più addosso come gocce di pioggia, ma ci vengono iniettati direttamente nella corteccia nervosa-digitale. Da centinaia/migliaia/milioni di piccoli aghi con un solo obiettivo: strapparci 15 secondi di personalissima popolarità. 

Non è un discorso solo digitale. Non hai nemmeno il tempo di spegnere il pc, che al telefono è già partita la pesca a strascico dei call center: gestori di telefonia, luce, gas. Quando ci si lamenta della moderna perdita di privacy, spesso si immaginano scenari oscuri dove i cattivi sono governi, servizi segreti, grandi fratelli dittatori. Ma forse il vero effetto nocivo della perdita della privacy è l'aver concesso a chiunque di raggiungerci con le sue proposte commerciali, artistiche, esistenziali, 7 giorni su 7, 24 ore su 24, a Pinerolo come a Bali. Che sia Bono, la ragazza del call center con l'accento straniero o l'amico di Facebook che ogni mattina ce l'ha con qualcuno. E te lo dice.  

La nuova rivoluzione potrebbe partire da qui: adottare tutti gli strumenti possibili per limitare la ricezione degli indesiderata, imparando a usare quelli già a nostra disposizione (per esempio nascosti nelle pieghe dei social network e delle caselle di posta elettronica) e chiedendone di nuovi. Altrimenti rischiamo che in futuro gli anni Dieci vengano ricordati come quel decennio in cui si passava gran parte del proprio tempo a svuotare l'email, leggere notizie fastidiose sulle timeline e consumare contenuti di scarso interesse.

giovedì, ottobre 02, 2014

Come mettere in ordine i risultati delle ricerche su Spotify



Nella release 2014 di Spotify purtroppo è scomparsa una funzione molto utile: quella che permetteva di ordinare i risultati delle ricerche musicali effettuate sul servizio (per brano, artista, album, durata o popolarità della canzone). Adesso l'utente deve accontentarsi dell'ordine proposto dal motore interno: una lista piuttosto caotica ed essenzialmente basata su criteri di popolarità. Non si possono nemmeno ordinare alfabeticamente i risultati, a meno di non copiarli prima tutti in una playlist (dove le funzioni di sorting sono invece ancora operative).

Quella di Spotify non è stata una bella decisione. Primo, perché quando offri un catalogo di decine di milioni di brani devi assolutamente fornire anche il maggior numero possibile di strumenti per esplorarlo. Le opzioni vanno aggiunte, non eliminate. Secondo, perché limitando le possibilità di ricerca degli utenti, automaticamente finisci per favorire alcuni artisti (quelli le cui canzoni compaiono all'inizio delle liste) e penalizzarne altri (quelli che si perdono nella lunga coda). Non solo un semplice favore ma anche una bella spintarella economica, visto che su servizi in streaming come Spotify ogni ascolto viene monetizzato. 

L'aspetto più curioso (e anche un po' sospetto) di questa modifica è che le funzioni di sorting in realtà sono ancora attive nel motore di ricerca di Spotify. Sono state rimosse dall'interfaccia standard offerta agli utenti, ma si possono attivare con un semplice trucchetto: basta inserire la stringa spotify:search: all'inizio delle proprie ricerche


Ecco un esempio: 

Cercando u2, ottengo i risultati visibili nell'immagine sotto e posso solo scorrerli dall'alto verso il basso, nell'ordine proposto da Spotify. Se provo a cliccare su BRANO, ARTISTA, ALBUM, sull'orologio (che indica la durata della canzone) o sul pollice (popolarità), non succede niente. 


Cercando spotify:search:U2, ottengo inizialmente gli stessi risultati. Ma gli indicatori BRANO, ARTISTA, ALBUM, DURATA e POPOLARITÀ tornano a essere operativi. Se vi clicco sopra, posso dunque riordinare i risultati, rendendo molto più flessibile e potente la mia ricerca. 

Per esempio, posso ottenere la lista alfabetica delle canzoni. 

Riordinare i brani in base alla loro durata.

O al titolo dell'album.

È un piccolo trucchetto che permette di potenziare molto le proprie ricerche. A volte ti aiuta a scoprire nuova musica, altre a raggiungere quella desiderata (di cui non sempre si conoscono nome e artista, o che spesso - soprattutto nei casi di omonimia o delle cover - rimane sepolta dal mainstream). Nella speranza che Spotify si renda conto dell'importanza di questa funzione e torni ad attivarla nella versione standard dell'interfaccia.