venerdì, marzo 13, 2015

Come continuare a usare gli embed nella nuova versione di Spotify

E non vale solo per Avicii.

Periodicamente Spotify aggiorna i suoi software. In questi giorni è toccato al programma utilizzato per ascoltare la musica sul desktop e a giudicare dai commenti per molti utenti più che un upgrade si è trattato di un downgrade: un peggioramento. Le critiche sono molte e si concentrano non tanto sulle nuove funzioni (come la possibilità di visualizzare i testi delle canzoni attraverso Musixmatch, già disponibile in passato e adesso resa di default), quanto nei confronti di quelle che erano presenti sulle vecchie versioni del software e che Spotify ha deciso di eliminare. Se è vero che critiche del genere sono la norma di fronte al cambiamento di qualcosa a cui si è abituati, è altrettanto vero che dal programma sono scomparse alcune opzioni non di secondo piano. Per esempio, l'embed.

L'importanza dell'embed
Nei corsi di giornalismo e scrittura digitale, tendo sempre a sottolineare come la possibilità di incorporare contenuti esterni sia una delle funzioni caratteristiche della narrazione su Internet. Il mezzo digitale non è un foglio di carta fatto per essere riempito solo di parole o disegni: testo e immagini svolgono ancora un ruolo importante, ma in sinergia con video, mappe, suoni e altri strumenti più o meno multimediali, più o meno interattivi. È un fatto ancora più evidente in un contesto sociale e tecnologico come quello contemporaneo, in cui la comunicazione è ormai dominata dagli schermi. Gli embed possono arricchire e rendere più completa l'informazione e oggi sono resi disponibili da tantissimi servizi Web: si possono incorporare i tweet, i video di YouTube e Vimeo, le Google Maps, i brani di SoundCloud, le foto di Flickr o Getty e molto altro ancora. Se dosati/usati correttamente, sono elementi che spesso migliorano di molto un contenuto.

Fino a due giorni fa, si poteva embeddare facilmente anche le canzoni, gli album e le playlist di Spotify. Io lo faccio regolarmente su questo sito (per esempio nelle recensioni degli album della settimana) e su Spotirama, ma non si tratta solo di un vezzo personale: è un'abitudine ormai consolidata sui blog e sui siti d'informazione musicale e non. Un'abitudine logica: io ti parlo di un album e ti offro anche la possibilità di ascoltarlo, magari mentre leggi l'articolo. Questa è la vera potenza di Internet e della tecnologia: risolvere i problemi, aggirare gli ostacoli, ridurre i passaggi superflui di una vita che sta diventando più trafficata di un incrocio stradale a Tokyo.

Nella nuova versione desktop di Spotify, questa funzione è scomparsa. Vi si accedeva in modo semplicissimo (tasto destro del mouse + copia codice d'incorporamento), ma adesso l'opzione copia codice d'incorporamento non appare più nel menù a tendina. In realtà esistono ancora due possibilità di incorporare la musica, anche se sono molto più macchinose. La prima è lavorare con l'html: prendi un codice embed da un vecchio post e sostituisci a mano il tipo di contenuto che vuoi incorporare ("track", "album", "playlist") e il suo URI (uniform resource identifier, si trova alla voce copia link). Più semplice è passare da questa pagina, disponibile sulla sezione per gli sviluppatori di Spotify: https://developer.spotify.com/technologies/widgets/spotify-play-button/. Si copia il link, lo si incolla nella prima finestrella e nella seconda appare il codice embed (come mostrato nell'immagine in apertura).

Ho provato i due metodi e sembrano funzionare entrambi. Qi sotto, per esempio, c'è la playlist dove sto raccogliendo tutti gli album che ho ascoltato nel 2015. Non trovate che sia semplice e logico inserirla direttamente nel post, invece che rimandare a lei con un link e farvi aprire un'altra pagina?
Il cliente ha ancora ragione?
Rimane un dubbio: perché Spotify ha reso più complicata una funzione che prima era così semplice? E perché sembra volerla riservare solo agli sviluppatori? È forse il primo passo verso la neutralizzazione definitiva dell'embed, un po' come è stata cancellata del tutto la possibilità di ordinare i risultati di ricerca in base a titolo, artista, album durata e popolarità? (anche l'escamotage utilizzato negli ultimi due anni non funziona più...)

Agli utenti occasionali, forse anche alla maggioranza di quelli più assidui, sembreranno problemi di poco conto. In fondo la musica è sempre lì e il prezzo degli abbonamenti non è aumentato. A parere di chi scrive, si tratta invece di cambiamenti preoccupanti. Innanzitutto, perché non sembrano motivati. Perché togliere delle funzionalità che sono già attive e che non hanno ricevuto dal pubblico critiche o altri segnali di mancanza di gradimento? 

Inoltre, perché indicano una sterzata piuttosto brusca verso la limitazione delle opzioni offerte al cliente. In una sorta di capriola verso l'1.0, Spotify sembra aver deciso di iniziare a ridurre le possibilità di scelta dei suoi abbonati, indirizzando l'ascolto verso ciò che vuole lei (altrimenti perché impedire di mettere in ordine le ricerche?) e riportando le playlist in un ovile più protetto e recintato (l'addio all'embed).

Può anche darsi che siano i primi segnali di una più marcata transizione della piattaforma verso il mobile, probabilmente individuato come il mercato strategico prioritario per il futuro: su smartphone e tablet la fruizione musicale è dominata dal semplice streaming e dalle funzioni social più immediate ("mi piace" e dintorni). Le ricerche complesse e gli embed sono assai meno importanti che sul desktop. Comunque sia, è un peccato. Un servizio che per me ha sempre rappresentato il perfetto e possibile equilibrio tra legalità e funzionalità (almeno dal punto di vista dell'ascoltatore, non tocco qui la delicata questione del compenso agli artisti) inizia a mostrare le prime e spiacevoli crepe.