Fonte: The Verge |
In questi primi giorni di euforia e superhype attorno a Periscope, la nuova applicazione legata a Twitter che ti permette di trasmettere video in diretta streaming dal tuo iPhone (qui la spiegazione firmata Il Post), ci sono tre aspetti/utilizzi che - a una prima disanima a caldo del servizio, senza poterne ancora valutare gli effetti sul medio e lungo termine - mi sembrano già particolarmente interessanti: la trasmissione di eventi spettacolari, l'interazione VIP/fan e l'intreccio con il citizen journalism.
I primi due temi implicano dei problemi immediati. Navigando tra gli account dei miei contatti Twitter, ieri sera mi sono imbattuto nel frammento di un concerto trasmesso in diretta via Periscope. La qualità video non era un granché, quella audio andava un po' meglio, ma il punto è un altro: cosa succederà se gli utenti inizieranno a trasmettere in massa eventi coperti da diritti per la riproduzione video (diritti di cui non sono loro i proprietari)? Non solo concerti, ma anche partite di calcio, film proiettati in sala, ecc. ecc. Mi sembra quasi di vederle, le polemiche che si stanno già accalcando all'orizzonte.
Sul discorso VIP/fan, il problema è un altro: l'abuso del servizio e l'alluvione di contenuti di bassa qualità e scarso interesse, prodotti solo per ragioni di marketing, pubblicità e - letteralmente - visibilità. Naturalmente qui entriamo in discorsi del tutto soggettivi: il fan del determinato artista o personaggio famoso potrebbe essere entusiasta di assistere al suo idolo mentre si trova a pranzo, in viaggio in macchina o mentre fa una passeggiata al parco (lasciamo stare le declinazioni vietate ai minori). Per chi scrive, però, uno dei massimi nemici di Internet in questo momento storico è il rumore. E da quel che si assiste in questi primi giorni di vita online, Periscope rischia di alzarne ulteriormente il volume, soprattutto con la complicità dei VIP. Con i soliti effetti indesiderati sul sistema dell'informazione: all'orizzonte in questo caso vedo gli articoli, i post e gli approfondimenti sull'artista famoso che usa Periscope per riprendersi mentre si taglia le unghie (ci sono di sicuro anche utilizzi più virtuosi, creativi, artistici e "utili" del servizio: la speranza è che trionfino sul resto; l'esperienza degli ultimi anni social, tuttavia, trattiene l'ottimismo).
Soffermandoci sul mondo dell'informazione, forse la novità più interessante - seppure anch'essa a rischio caos - è però l'apertura di nuovi e interessanti orizzonti sia per il giornalismo professionale che per il citizen journalism, il "giornalismo dal basso". Per il primo, basti pensare ai reportage live (e low cost) che potrebbero essere trasmessi dagli inviati via Periscope. Per il secondo, mi faccio aiutare da un esempio concreto: giovedì scorso Ben Popper ha raccontato su The Verge di aver seguito in diretta su Periscope l'incendio di un edificio a New York. Prima che arrivassero le troupe televisive, c'era già qualcuno che stava riprendendo la scena. Come nel famoso caso dell'utente pakistano che per primo cinguettò il blitz per la cattura di Osama Bin Laden, un vantaggio del citizen journalism rispetto al giornalismo tradizionale/professionale è quello di avere potenzialmente un paio di miliardi di inviati sparsi in giro per il mondo. Tanto in città periferiche sui radar occidentali e dal nome ostico come Abbottabbad quanto in vie della centralissima New York, dove non può esserci in qualsiasi istante un inviato di Reuters o BBC. E basta davvero poco oggi per essere citizen journalist: uno smartphone e una connessione 3G.
Servizi come Periscope (o il concorrente Meerkat) in realtà non stravolgono un fenomeno che ormai è già decollato da tempo. Semplicemente gli offrono uno strumento in più e la possibilità di avvicinarsi a quello che è uno dei paradigmi più radicati (e a tratti asfissianti) nella comunicazione 2.0: il culto dell'istante. Prima si poteva già riprendere una scena e - a distanza di qualche minuto, ora, giorno - distribuirla su YouTube & C. (pensiamo ai video che ci hanno "mostrato" - non in diretta, ma poco dopo - l'attacco alla redazione di Charlie Hebdo e la successiva uccisione del poliziotto Ahmed Merabet). Adesso si potrà fare un passo oltre: videoraccontare in tempo reale. Con tutti i suoi annessi e connessi: dall'inevitabile senso dell'effimero del livestreaming ai rischi ormai noti della pubblicazione istintiva (senza possibilità di verifica, controllo, riflessione prima della messa online). Il bello e il brutto della diretta 2.0: da oggi anche in versione video.