Lo scorso ottobre, in occasione del passaggio al Festival delle Colline Torinesi di Il fuoco era la cura, l'opera teatrale della compagnia Sotterraneo ispirata a Fahrenheit 451, ho ripreso in mano il classico di Ray Bradbury. E a pagina 64 ho trovato la spiegazione di come si è arrivati alla situazione distopica che è il tema del romanzo (è vietato leggere e i pompieri non spengono più incendi ma bruciano i libri). La voce narrante è quella di Beatty, che parla a Montag (il pompiere «pentito» protagonista) e a sua moglie Mildred. Beatty è il cattivo di Fahrenheit 451, il capitano della caserma di Montag. Dunque la sua è la versione del potere e come tale va presa, tuttavia l'impressione è che Bradbury lo usi per dar voce alle sue inquietudini e trovo raggelanti le somiglianze tra un testo che risale a oltre 70 anni fa (il romanzo uscì nel 1953) e il nostro presente. Quella di Fahrenheit 415 è un'inquietante profezia sulla realtà, che oggi sembra avverarsi a velocità ancora più estreme, o è la semplice paura ricorsiva - quasi un archetipo culturale - provata dagli autori/intellettuali nei confronti di qualsiasi contesto tecnologico/sociale che vedono porsi in concorrenza con i libri (ieri lo schermo della tv, oggi quello degli smartphone)?
Prima dell'arrivo in città di Il fuoco era la cura (che consiglio a tutti di vedere, così come consiglio a tutti di (ri)leggere il romanzo di Bradbury), ho intervistato sul Corriere Torino Daniele Villa di Sotterraneo. Le risposte che mi ha dato sul tema coincidono in gran parte con il mio pensiero: «Le distopie non parlano mai di un futuro che può accadere bensì della radicalizzazione di problemi che sono già in essere: ti allarmano sul presente. Oggi non si bruciano i libri - anche se una certa funzione censoria sta attraversando il dibattito pubblico - ma ci sono inquietanti punti di contatto tra la nostra realtà e le preoccupazioni di Bradbury: il collasso dell'intelligenza collettiva, la perdita del pensiero complesso a favore di una fuga verso la semplificazione, l'eccesso dei rumori di fondo. Abbiamo accesso a un materiale così vasto e ambiguo da mettere a rischio la nostra capacità di orientarci. (...) Anche un genio come Bradbury aveva un suo limite di gittata temporale. Il suo acume profetico non riguarda però il mezzo televisivo in sé, quanto il tempo-schermo, cioè la quantità di ore che le persone trascorrono intrappolate nel mero intrattenimento. Oggi quel problema continua a presentarsi e apre questioni sulla società: quanta attenzione è necessaria per tenere in vita una democrazia? E quanto la stiamo allenando?».
Qui sotto riporto in forma integrale la «versione di Beatty» che compare nel romanzo, omettendo solo le reazioni di Montag e Mildred. I grassetti sono miei. È un testo un po' lungo, soprattutto rispetto agli slot d'attenzione che siamo abituati a concedere a una lettura online. Ma man mano che andrete avanti vedrete che la sua lunghezza diventerà parte del discorso. E si lambirà anche il delicato e sempre più invasivo (oggi ancor più che nel 1953) tema del politically correct. La foto in apertura, riferita allo spettacolo Il fuoco era la cura, è di Masiar Pasquali.
Qui sotto riporto in forma integrale la «versione di Beatty» che compare nel romanzo, omettendo solo le reazioni di Montag e Mildred. I grassetti sono miei. È un testo un po' lungo, soprattutto rispetto agli slot d'attenzione che siamo abituati a concedere a una lettura online. Ma man mano che andrete avanti vedrete che la sua lunghezza diventerà parte del discorso. E si lambirà anche il delicato e sempre più invasivo (oggi ancor più che nel 1953) tema del politically correct. La foto in apertura, riferita allo spettacolo Il fuoco era la cura, è di Masiar Pasquali.
Perché bruciamo i libri (la versione di Beatty/Bradbury)
«Quando ha avuto origine questo nostro lavoro, tu vuoi, sapere, non è vero? Come si determinò e dove e quando? Bene, a dirti la verità, sembra che abbia avuto inizio dopo un certo evento chiamato Guerra di Secessione. Ma il nostro Regolamento sostiene che la milizia del fuoco sia stata fondata anche prima. Il fatto è che la società non ha vissuto bene che quando la fotografia ha cominciato a vivere di vita propria. Poi... il cinematografo nella prima metà del ventesimo secolo. La radio, la televisione... Le cose cominciarono allora ad avere massa.» (...)
«E poiché avevamo massa, divennero più semplici. Un tempo, i libri si rivolgevano a un numero limitato di persone, sparse su estensioni immense. Ed esse potevano permettersi di essere differenti. Nel mondo c'era molto spazio disponibile, allora. Ma in seguito il mondo si è fatto sempre più gremito di occhi, di gomiti, di bocche. La popolazione si è raddoppiata, triplicata, quadruplicata. Film, radio, riviste, libri si sono tutti livellati su un piano minimo, comune, una specie di norma dietetica universale, se mi intendi. Mi intendi?» (...)
«Immagina tu stesso: l'uomo del diciannovesimo secolo coi suoi cavalli, i suoi cani, carri, carrozze, dal moto generale lento. Poi, nel ventesimo secolo, il moto si accelera notevolmente. I libri si fanno più brevi e sbrigativi. Riassunti. Scelte. Digesti. Giornali tutti titoli e notizie, le notizie praticamente riassunte nei titoli. Tutto viene ridotto a pastone, a trovata sensazionale, a finale esplosivo.» (...)
«Le opere dei classici ridotte così da poter essere contenute in quindici minuti di programma radiofonico, poi riassunte ancora in modo da stare in una colonna a stampa, con un tempo di lettura non superiore ai due minuti; per ridursi alla fine a un riassuntino di non più di dieci, dodici righe di dizionario. Ma eran molti coloro presso i quali la conoscenza di Amleto (tu conosci certo questo titolo, Montag) si riduceva al "condensato" d'una pagina in un volume che proclamava: Ora finalmente potrete leggere tutti i classici. Non siate inferiori al vostro collega d'ufficio! Capisci? Dalla nursery all'Università e da questa di nuovo alla nursery. Questo l'andamento intellettuale degli ultimi secoli.
«Basta seguire l'evoluzione della stampa popolare: Clic! Pic! Occhio, Bang! Ora, Bing! Là! Qua! Su! Giù! Guarda! Fuori! Sali! Scendi! Uffa! Clac! Cic! Eh? Pardon! Etcì! Uh! Grazie! Pim, Pum, Pam! Questo il tenore dei titoli. Sunti dei sunti. Selezioni dei sunti della somma delle somme. Fatti e problemi sociali? Una colonna, due frasi, un titolo. Poi, a mezz'aria, tutto svanisce. Il cervello umano rotea in ogni senso così rapidamente, sotto la spinta di editori, sfruttatori, radiospeculatori, che la forza centrifuga scaglia lontano e disperde tutto l'inutile pensiero, buono solo a farti perdere tempo.» (...)
«La durata degli studi si fa sempre più breve, la disciplina si allenta, filosofia, storia, filologia, abbandonate, lingua e ortografia sempre più neglette, fino ad essere quasi del tutto ignorate. La vita diviene una cosa immediata, diretta, il posto è quello che conta, in ufficio o in fabbrica, il piacere si annida ovunque, dopo le ore lavorative. Perché imparare altra cosa che non sia premere bottoni, girar manopole, abbassar leve, applicar dadi e viti?» (...)
«La chiusura lampo ha spodestato i bottoni e un uomo ha perduto quel po' di tempo che aveva per pensare, al mattino, vestendosi per andare al lavoro, ha perso un'ora meditativa, filosofica, perciò malinconica.» (...)
«La vita diviene così un'immensa cicalata senza costrutto, Montag, tutto diviene un'interiezione sonora e vuota...» (...)
«Basterà vuotare i teatri, Montag, di tutto ma non dei pagliacci, e fornire ogni stanza di pareti di vetro, con bei disegni policromi che salgono e scendono su queste pareti, come coriandoli, o sangue, o sherry, o borgogna. Ti piace il baseball, non è vero, Montag?». (...)
«Più sport per ognuno, spirito di gruppo, divertimento, svago, distrazioni, e tu così non pensi, no? Organizzare, riorganizzare, superorganizzare super-super-sport! Più vignette umoristiche, più fumetti nei libri! Più illustrazioni ovunque! La gente assimila sempre meno. Tutti sono sempre più impazienti, più agitati e irrequieti. Le autostrade e le altre strade d'ogni genere sono affollate di gente che va un po' da per tutto, ovunque, ed è come se non andasse in nessun posto. I profughi della benzina, gli erranti del motore a scoppio. Le città si trasformano in auto-alberghi ambulanti, la gente sempre più dedita al nomadismo va di località in località, seguendo il corso delle marce lunari, passando la notte nella camera dove sei stato tu oggi e io la notte passata.» (...)
«Consideriamo ora le minoranze in seno alla nostra civiltà. Più numerosa la popolazione, maggiori le minoranze. Non pestate i piedi ai cinofili, ai maniaci dei gatti, ai medici, agli avvocati, ai mercanti, ai pezzi grossi, ai mormoni, battisti, unitarii, cinesi della seconda generazione, oriundi svedesi, italiani, tedeschi, nativi del Texas, brooklyniani, irlandesi, oriundi dell'Oregon o del Messico. I personaggi di questo libro, di questa commedia, di questo programma della tv non rappresentano il benché minimo riferimento o allusione a reali pittori, cartografi, meccanici di qualsiasi città o paese. Più vasto il mercato, Montag, meno le controversie che ti conviene comporre, ricordalo! Tutte le minoranze, fino alle infime, vanno tenute bene, col loro bagnetto ogni mattina. Scrittori, la mente pullulante di pensieri malvagi, chiudono a chiave le loro macchine per scrivere. Tutto questo è avvenuto! Le riviste periodiche divennero un gradevole miscuglio di tapioca alla vaniglia. I libri - così i critici, quei maledetti snob, avevano proclamato - erano acqua sporca da sguatteri. Nessuna meraviglia che i libri non si vendessero più, dicevano i critici; ma il pubblico, che sapeva ciò che voleva, con una felice diversione, lasciò sopravvivere libri e periodici a fumetti. Oltre alle riviste erotiche a tre dimensioni, naturalmente. Ecco, ci siamo, Montag, capisci? Non è stato il Governo a decidere: non ci sono stati in origine editti, manifesti, censure, no! Ma la tecnologia, lo sfruttamento delle masse e la pressione delle minoranze hanno raggiunto lo scopo, grazie a Dio! Oggi, grazie a loro, tu puoi vivere sereno e contento per ventiquattr'ore al giorno, hai il permesso di leggere i fumetti, tutte le nostre care e vecchie confessioni con i bollettini e i periodici commerciali.» (...)
(A questo punto Montag chiede conto del ruolo dei vigili del fuoco)
«Ah. È la cosa più logicamente conseguente, che diamine! A misura che le scuole mettevano in circolazione un numero crescente di corridori, saltatori, calderai, malversatori, truffatori, aviatori e nuotatori, invece di professori, critici, dotti e artisti, naturalmente il termine "intellettuale" divenne la parolaccia che meritava di diventare. Si teme sempre ciò che non ci è familiare. Chi di noi non ha avuto in classe, da ragazzini, il solito primo della classe, il ragazzo dalla intelligenza superiore, che sapeva sempre rispondere alle domande più astruse mentre gli altri restavano seduti come tanti idoli di legno, odiandolo con tutta l'anima? Non era sempre questo ragazzino superiore che sceglievi per le scazzottature e i tormenti del doposcuola? Per forza! Noi dobbiamo essere tutti uguali. Non è che ognuno nasca libero e uguale, come dice la Costituzione, ma ognuno vien fatto uguale. Ogni essere umano a immagine e somiglianza di ogni altro; dopo di che tutti sono felici, perché non ci sono montagne che ci scoraggino con l'altezza da superare, non montagne sullo sfondo delle quali si debba misurare la nostra statura! Ecco perché un libro è un fucile carico, nella casa del tuo vicino. Diamolo alle fiamme! Rendiamo inutile l'arma. Castriamo la mente dell'uomo. Chi sa chi potrebbe essere il bersaglio dell'uomo istruito? Cosicché, quando le case cominciarono a essere costruite a prova di fuoco, non c'è più stato bisogno di vigili del fuoco, dei pompieri, che spegnevano gli incendi coi loro getti d'acqua. Furono assegnati loro i nuovi compiti, li si designò custodi della nostra pace spirituale, il fulcro della nostra comprensibile e giustissima paura di apparire inferiori; censori, giudici, esecutori. Tu Montag, sei tutto ciò, io sono tutto ciò.» (...)
«Devi ricordarti che la nostra civiltà è così vasta che non possiamo permettere alle nostre minoranze di essere in uno stato di turbamento e agitazione. Domandatelo anche tu: che cosa ci preme, in questo paese, avanti e soprattutto? Gli esseri umani vogliono la felicità, non è vero? Non è quello che sentiamo dire da quanto siamo al mondo? Voglio un po' di felicità, dice la gente. Ebbene, non l'hanno forse? Non li teniamo in continuo movimento, non diamo loro ininterrottamente svago? Non è per questo che in fondo viviamo? Per il piacere e i più svariati titillamenti? E tu non potrai negare che la nostra forma di civiltà non ne abbia in abbondanza, di titillamenti...» (...)
«La gente di colore non ama Little Black Sambo. Diamolo alle fiamme. Qualcuno ha scritto un libro sul tabacco e il cancro dei polmoni? I fabbricanti e i fumatori di sigarette piangono? Alle fiamme il libro! Serenità, Montag. Pace, Montag. Le tue battaglie combattile in sordina. Meglio ancora, buttale nel forno crematorio. I funerali sono dolorosi e pagani? Annulliamo anche i riti funebri. Cinque minuti dopo la sua morte, un individuo è già a bordo d'uno degli elicotteri per il servizio rapido di trasporto delle salme ai crematoi di tutta la nazione. Dieci minuti dopo la sua morte, lo stesso individuo non è che un granello di polvere nera, un frammento di fuliggine. E non stiamo a perderci in chiacchiere sugli uomini la cui fama va eternata nei servizi funebri. Non ci pensiamo nemmeno! Bruciamo tutto, bruciamo ogni cosa! Il fuoco è luce e soprattutto è purificazione!».