Lunedì 9 settembre, nel giorno in cui i lyric video sono sbarcati in Italia sulle ali di Laura Pausini e in cui Miley Cyrus ha proseguito nel suo elegante riposizionamento estetico (leccando mazze da cantiere), sul versante del rock (ex?) alternativo si è abbattuto il tornado Arcade Fire. Nel lancio di Reflektor, singolo che anticipa il nuovo album in arrivo a fine ottobre, tutto è stato decisamente oversize: la durata del brano (otto minuti, pura eresia secondo i vetusti canoni radiofonici), la produzione (James LCD Soundsystem Murphy), i cameo (David Bowie, con conferma ufficiale), un videoclip firmato da quel gran genio di Anton Corbijn. Persino le teste dei musicisti, nel suddetto video, sono più grandi della norma. E non è mancato nemmeno un po' di sano esagerazionismo tecnofilo, attraverso il filmato interattivo Just a Reflektor, realizzato dall'amico Vincent Morisset in partnership con un'altra realtà famosa per il suo basso profilo: Google.
Non c'è due senza tre. Dal crocicchio in cui si incrociano Web e video, gli Arcade Fire erano già passati almeno un paio di volte. All'epoca di Neon Bible, prima, e poi attraverso il progetto The Wilderness Downtown, esempio ancora oggi piuttosto innovativo di collisione e creazione di nuovi linguaggi, in cui si genera un video personalizzato della canzone We Used To Wait con le mappe di Google Earth e Street View. Da quell'esperimento è nata la collaborazione con Google che si ripete oggi con Reflektor, nell'alveo dei Chrome Experiments.
Road test. In Just a Reflektor (sul video "normale" di Corbijn non scrivo niente... mi limito ad aggiungerlo, con stima rinnovata, in fondo al post), l'asticella tecnologica viene alzata assai. E l'orologio si sintonizza su un tempo presente in cui si dà per scontato che l'ascoltatore medio degli Arcade Fire sia dotato di smartphone d'ordinanza: il progetto si sviluppa infatti con un dialogo tra smartphone e computer (attraverso la webcam), nel quale i movimenti del dispositivo portatile producono degli effetti visivi sul video girato da Morisset ad Haiti e visualizzato sullo schermo del pc. Le immagini sfumano, coni di luce vagano per lo schermo, saette bianche scheggiano il volto della protagonista, a seconda degli scatti del device-telecomando. Un gioco domestico, declinato quasi inseguendo le dinamiche della Nintendo Wii, in cui purtroppo - per quelli che sono stati i risultati personali di una prova mattutina - l'obiettivo non coincide con il risultato. Il mio MacBook si è rifiutato di collaborare, un vecchio pc lo ha fatto ma senza riuscire a dialogare bene con lo smartphone. Insomma, un disastro o giù di lì. Se la seduzione della tecnologia si realizza soprattutto attraverso la sua semplicità/intuitività/immediatezza, Just a Reflektor con il sottoscritto ha trovato un due di picche (alla fine, sono riuscito a comandare il video solo nel modo più arcaico: senza geolocalizzazione e smartphone, ma muovendo il ditino sul mouse incorporato del laptop).
Nel laboratorio
V come Vincent. Coincidenza onomastica curiosa, un secolo e mezzo dopo lui, altri Vincent tengono in mano le redini della nuova arte visiva, in questo caso nella sua espressione in movimento e legata a Internet. Alcuni dei progetti più interessanti post-2000 sono stati sfornati dal transalpino Vincent Moon (anch'egli, coincidenza #2, in passato al lavoro con gli Arcade Fire), altri provengono invece proprio da Vincent Morisset, l'autore di Just a Reflektor. Canadese di Montreal (la stessa città che fa da quartier generale alla band), nella sua iper-minimale pagina web ufficiale afferma di "essere alla ricerca di nuovi modi per raccontare storie". Ne ha già sperimentati parecchi con gli Arcade Fire (prima di Reflektor, Neon Bible, Miroir Noir, Sprawl #2... i link sono tutti sul suo sito), ma anche con i Sigur Ros (Inni) o in modo slegato dalla musica ("Bla Bla, a film for computer", su cui forse approfondirò nei prossimi giorni).
Grandeur. Un po' insoddisfacente - alla prova pratica - nel suo comparto più futuristico, il progetto Reflektor rimane una meraviglia sotto tutti gli altri aspetti (compreso quello filosofico digitale: il filmato è open source e sono stati resi disponibili codici sorgenti e approfondimenti sulle tecnologie utilizzate). Proviamo a ripetere di nuovo i nomi dei collaboratori: David Bowie, James Murphy, Anton Corbijn, Vincent Morisset, Google. Solo per il primo singolo... Nell'anno domini 2013, dagli Arcade Fire sembra provenire il respiro e il rimbombo di un'ambizione grande come l'universo. Nella scelta dei complici, ma anche e soprattutto nelle visioni disco dark che trasudano dagli otto minuti di Reflektor. Tra un mese scopriremo se è un bluff, ma oggi è bello respirarla tutta quest'ambizione, a pieni polmoni. Perché ok, massimo rispetto per il minimalismo, il lo-fi, l'umiltà da garageband, l'unplugged per tutti, l'etica indie, l'artista vicino di Facebook, ma ogni tanto è bello ancora incrociare e lasciarsi stordire da un po' di sana grandeur. Magari il pomeriggio rimani incantato da un busker che strimpella sotto casa e la sera spalanchi le pupille di fronte a uno show poderoso, rigonfio di tecnologia come il Po nei giorni cattivi del 2000 (esempio: l'attuale tour dei Nine Inch Nails... per darvi un'idea).
On your knees, boy. Da tempo gli Arcade Fire non sono più la band per pochi eletti scoperta da Pitchfork nel 2004: hanno vinto un Grammy, piacciono (sembra proprio tanto) a Jovanotti, ormai sono pronti a giocare in Champions League, con tutto ciò che questo vuol dire, dai possibili torrenti di nuovi seguaci all'inevitabile pioggia di acuminate antipatie. Senza avere la più pallida idea di cosa sarà davvero il resto del nuovo album e come sarà organizzato il conseguente tour, rischiando dunque di prendere un'imbarcata colossale (magari è una raccolta di ballatine acustiche che saranno presentate su un palco con tre candele), chi scrive sogna - ampliando un'idea captata su Twitter - che gli Arcade Fire stiano per entrare nel loro Zoo Tv. Un tempio dove tracciare scenari e sconvolgere orizzonti, senza limiti o moderazioni, con l'umiltà tipica del gigante a cui è saggio e doveroso sottomettersi, ciondolando e gattonando al ritmo di Reflektor (e se poi così non fosse...).
On your knees, boy. Da tempo gli Arcade Fire non sono più la band per pochi eletti scoperta da Pitchfork nel 2004: hanno vinto un Grammy, piacciono (sembra proprio tanto) a Jovanotti, ormai sono pronti a giocare in Champions League, con tutto ciò che questo vuol dire, dai possibili torrenti di nuovi seguaci all'inevitabile pioggia di acuminate antipatie. Senza avere la più pallida idea di cosa sarà davvero il resto del nuovo album e come sarà organizzato il conseguente tour, rischiando dunque di prendere un'imbarcata colossale (magari è una raccolta di ballatine acustiche che saranno presentate su un palco con tre candele), chi scrive sogna - ampliando un'idea captata su Twitter - che gli Arcade Fire stiano per entrare nel loro Zoo Tv. Un tempio dove tracciare scenari e sconvolgere orizzonti, senza limiti o moderazioni, con l'umiltà tipica del gigante a cui è saggio e doveroso sottomettersi, ciondolando e gattonando al ritmo di Reflektor (e se poi così non fosse...).