giovedì, marzo 12, 2015

Viet Cong (Viet Cong)


Appartengo alla generazione che ha scoperto l'esistenza di Calgary grazie alle Olimpiadi invernali del 1988, quelle della doppia medaglia d'oro di Alberto Tomba in slalom speciale e gigante. Adesso, quasi trent'anni e parecchie edizioni dei Giochi dopo, risento parlare della città canadese come luogo d'origine dei Viet Cong, band formatasi dalle ceneri dei Women (da cui provengono il cantante/bassista Matt Flegel e il batterista Mike Wallace).

Proprio il rapporto con i Women è invariabilmente citato in tutte le recensioni di Viet Cong: non tanto per sottolineare una comune appartenenza musicale, quanto per spiegare l'atmosfera ombrosa, incupita da versi come “if we're lucky we'll get old and die” e titoli come Pointless Experience e Death. Critici e giornalisti trovano un diretto contatto con la scomparsa di Christopher Reimer, il chitarrista dei Women, la cui morte improvvisa nel 2012 mise la parola fine a una band già minata da dissidi interni.

Ma i Viet Cong sono gioviali e amano i gatti.
Se aggiungiamo che tra i riferimenti che più spesso vengono accostati al disco ci sono band come Joy Divison e Bauhaus, si capirà come il menù proposto dai Viet Cong non sia proprio dei più leggeri: post-punk* del nuovo millennio, magari meno inesorabile e decadente di quello anni '80, ma pur sempre orientato verso la dark side del rock. Con qualche punto di contatto anche con gli Interpol (pure loro non proprio famosi per essere degli allegroni).

Di certo Viet Cong è un album dalla digestione più complicata rispetto agli ultimi che ho ascoltato, ma non bisogna pensare che il suo ritmo incalzante e gli assalti industriali ben presenti fin dall'iniziale Newspaper Spoons coprano qualsiasi raggio di sole. Continental Shelf è un singolo che bilancia rumore e melodia in modo perfetto, quasi pop. E nella improvvisa apertura vocale di March of Progess, dopo tre minuti di artiglieria sonica, il sottoscritto ritrova persino qualcosa dei Pink Floyd più antichi e barrettiani.

Adelante post-punk ma con juicio, insomma. Con tante ansie e paure che galleggiano nei testi, ma senza riverniciare di nerocosmico l'intera atmosfera. Se siete in un momento di disponibilità verso suoni sperimentali, qui potrete trovare diverse soddisfazioni. Balzati di recente all'onore delle cronache per l'annullamento di un concerto in Ohio a causa del "nome offensivo" (!), i Viet Cong sono in realtà finiti nel mio mirino per la loro presenza al Nos Primavera di Oporto: dal vivo, magari a notte fonda e con i volumi belli alti, sento che potrebbero rivelarsi una rombante sorpresa.

* Per approfondire tutto ciò che fu il post-punk originale, vi consiglio il libro Post punk 1978-1984 di Simon Reynolds e la relativa megaplaylist Spotify



Canzoni preferite: Pointless Experience, Continental Shelf, Silhouettes

In ascolto: Chasing Yesterday (Noel Gallagher's High Flying Birds)

Gli album della settimana del 2015:
1. Black Messiah (D'Angelo)
2. Run The Jewels 2 (Run The Jewels)
3. Soused (Scott Walker)
4. Panda Bear Meets The Grim Reaper (Panda Bear)
5. Girls In Peacetime Want To Dance (Belle & Sebastian)
6. No Cities To Love (Sleater-Kinney)
7. Endkadenz vol. 1 (Verdena)
8. Natalie Prass (Natalie Prass)
9. I Love You, Honeybear (Father John Misty)
10. Viet Cong (Viet Cong)