Noel Gallagher è uno di quegli artisti di cui ormai si parla più per le polemiche sparse qua e là che per la musica. Per esempio, oggi molti avranno letto le sue battute su
Fabio Fazio e sulle donne che frequentano i night club milanesi
(“assomigliano a Mick Jagger periodo 1965-1969”) ma pochi sapranno che è da poco
uscito un suo nuovo album. E ancora
meno lo avranno ascoltato. Anche un po' per colpa sua, visto che da
un un lato semina punzecchiature a ogni intervista/tweet e
dall'altro sembra aver inserito un pilota automatico che lo porta a
scrivere canzoni prive di quella caratteristica che per i critici
e una buona fetta di appassionati è ormai l'unica fonte di valore
nella musica: l'innovazione.
Chasing Yesterday non fa eccezione. Bastano trenta secondi per trovare
conferma alle ipotesi di conservatorismo: Riverman si apre con
un accordo di chitarra acustica che sembra clonato da Wonderwall
degli Oasis e con un verso (“There's something in the way she
moves”) che cita in modo ancor più plateale la fonte gallagheriana
per antonomasia: i Beatles. Per non farsi mancare niente, all'inizio
di In the Heat of the Moment c'è persino un “na na na na
na” che suona quasi come un omaggio all'altro volto della Cool
Britannia degli anni '90, quello degli ex-arcirivali Blur.
Non avendo trovato foto con le donne-Jagger, ripiego su Fabio Fazio |
Se i testi come al solito sono agli antipodi di un Leonard Cohen, la musica si concede
qualche piccola libertà, pur sempre tenuta al guinzaglio dalla
chitarra dell'artista. Il sax su cui si chiude Riverman, per
esempio. O l'intera The Right Stuff, tra le poche tracce
rimaste della abortita collaborazione con il duo di produttori britannici Amorphous Androgynous (aka The Future Sound of London), presentata in
molte recensioni come una scampagnata space jazz, mentre a me
ricorda semplicemente un britpop più ambientale, diciamo in
direzione Urban Hymns dei Verve.
A questo punto, forse verrebbe da pensare che Chasing Yesterday sia un disco
da buttare, o anche solo dimenticare. A livello critico,
forse sì. Dal punto di vista del piacere personale, tutt'altro. Non
mi stupirei se alla fine si rivelasse uno dei miei album più
ascoltati del 2015. È una questione di affinità uditive ed elettive: non solo riconosco immediatamente
il modo di scrivere musica di Noel Gallagher, ma mi piace. Persino
ritornelli in simple
english come “The
more that you want it / The more that you need it”, li trovo più
irresistibili (e di certo orecchiabili) di tonnellate di arzigogolate
novità da Pitchfork 8.0.
C'è un aspetto interessante nel rapporto tra la critica e Chasing
Yesterday: molte
recensioni si muovono nel limbo dell'aurea sufficienza, ma
tutte sostengono che l'album presenta almeno due o tre brani di
valore. E quando li citano, sono puntualmente diversi rispetto a
quelli della recensione precedente. Sulla lavagna dei buoni ho
trovato segnate almeno una volta tutte le canzoni. Probabilmente in Chasing
Yesterday non c'è
niente destinato a esser ricordato fino alla fine del mondo, ma
Gallagher riesce sempre a tenersi ad abbondante distanza dall'orrido.
E in confortante prossimità con il
piacevole (e con il knebworthiano: Chasing Yesterday è un altro disco che sembra fatto apposta per essere canticchiato a un concerto estivo).
Canzoni preferite: Riverman, While the Song Remains the Same, Ballad of the Mighty I
In ascolto: What a Terrible World, What a Beautiful World (The Decemberists)
Gli album della settimana del 2015:
1. Black Messiah (D'Angelo)
2. Run The Jewels 2 (Run The Jewels)
3. Soused (Scott Walker)
4. Panda Bear Meets The Grim Reaper (Panda Bear)
5. Girls In Peacetime Want To Dance (Belle & Sebastian)
6. No Cities To Love (Sleater-Kinney)
7. Endkadenz vol. 1 (Verdena)
8. Natalie Prass (Natalie Prass)
9. I Love You, Honeybear (Father John Misty)
10. Viet Cong (Viet Cong)
11. Chasing Yesterday (Noel Gallagher's High Flying Birds)