domenica, febbraio 08, 2015

Girls In Peacetime Want To Dance (Belle & Sebastian)


"Disco sucks", si diceva alla fine degli anni Settanta. E si organizzavano pittoreschi eventi come la Disco Demolition Night: tra il goliardico, il promozionale e il nazistello. Ma il tempo guarisce le ferite, fomenta il revival e genera la contaminazione. Così negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria riscossa della disco, spesso consumata in ambienti e tramite artisti imprevedibili: i Daft Punk che ripudiano l'elettronica per Giorgio Moroder, gli Arcade Fire che cucinano il loro dark-voodoo da ballare, gli U2 che si rifanno vedere in discothèque con una b-side bizzarra e orecchiabile come The Crystal Ballroom.

Girls In Peacetime Want To Dance è il nono lavoro in studio degli scozzesi Belle & Sebastian e non è propriamente un album disco. Il suo menù è molto ricco e variegato, ma a saltare all'orecchio sono inevitabilmente i due brani più virati verso tonalità danzanti, peraltro tra i migliori del lotto: il singolo The Party Line e soprattutto Enter Sylvia Plath. Quest'ultima è birbante e truffaldina fin dal titolo: ti immagini la tipica ballata acustico-letteraria dei Belle & Sebastian e ti ritrovi invece una cavalcatona di sette minuti di pura decadance che non stonerebbe in un album dei Pet Shop Boys.

A rifare la disco sono bravi tutti, ma solo Stuart Murdoch ha il coraggio di riesumare una keytar
Come detto, c'è però anche dell'altro. Per esempio Nobody's Empire, in cui Stuart Murdoch ricorda gli anni giovanili in preda alla sindrome da fatica cronica. Una coppia di versi celebra il potere salvifico della musica: “There was a girl that sang like the chime of a bell / She put out her arm and she touched me when I was in hell, when I was in hell”. Siamo tutti condannati a scivolare periodicamente negli inferni della vita e l'immagine di una fanciulla – pure intonata – che ti prende per mano e ti aiuta a risalire la china è deliziosa (uhm, scritta così suona orrendamente smielata: giuro che sull'album funziona molto bene, potete verificare nel video sotto al minuto 1'36").

Tra le curiosità di servizio (a puro beneficio personale) una piccola nota sul produttore dell'album: si chiama Ben H. Allen, su Twitter si presenta con la frase “I make records, not bombs” (a cui segue una professione di fede NBA per gli Atlanta Hawks) e nel suo curriculum c'è anche Merriweather Post Pavillion degli Animal Collective, il che crea un immediato legame mistico tra questo album e il mio precedente ascolto settimanale (l'ultimo album solista dell'animalcollectiviano Panda Bear). Sticazzi, senza dubbio: ma queste coincidenze/associazioni mi fanno godere quasi quanto il gol di Martinez a Verona (già che siamo in tema di professioni di fede sportiva).

Nei confronti dei Belle & Sebastian sono passato dalla simbiosi totale delle origini (in particolare con The Boy With The Arab Strap) al quasi-odio provato a un concerto del 2011 in cui Murdoch passava più tempo a cicaleggiare con il pubblico che a cantare. Già in quell'occasione sembrava che i B&S fossero un po' stufi dei cliché a cui noi fan nostalgici e rompiscatole abitualmente li associamo: tutto quell'immaginario di eterni studenti che passano le estati a innamorarsi, leggere libri e suonare ballate malinconiche. Avevano bisogno di un cambio di ritmo. Viene da pensare che anche il titolo dell'album sia un po' truffaldino: a voler ballare non sono solo le ragazze in tempo di pace ma anche i quarantenni in tempo di crisi.




Canzoni preferite: Nobody's Empire, Allie, Enter Sylvia Plath

In ascolto: No Cities To Love (Sleater-Kinney)

Gli album della settimana del 2015:
1. Black Messiah (D'Angelo)
2. Run The Jewels 2 (Run The Jewels)
3. Soused (Scott Walker)
4. Panda Bear Meets The Grim Reaper (Panda Bear)
5. Girls In Peacetime Want To Dance (Belle & Sebastian)