mercoledì, settembre 03, 2014

Tecnologia buona, tecnologia cattiva, tecnologia chissà



Tre citazioni da Virtuale di Antonio Caronia:

Le mie opinioni nei riguardi della tecnologia sono completamente ambigue. L'ambiguità mi sembra l'unico modo di rapportarsi a ciò che sta accadendo oggigiorno. Chi non ha più idee ambigue? Non si può essere luddisti, ma allo stesso tempo non si più sposare la tecnocrazia. Quando scrivo sulla tecnologia, scrivo come essa abbia già influenzato le nostre vite. (William Gibson
Mi capita spesso di chiedermi se una tecnologia è buona o cattiva. Allora ho elaborato un mio criterio. Se una tecnologia ha come unico effetto quello di aumentare il potere dell'uomo, anche la sua intelligenza, voglio dire, allora è sicuramente una cattiva tecnologia, alla radice: potenza e intelligenza ne abbiamo a sufficienza già adesso, forse più di quella che ci serve. Ma se al contrario una tecnologia serve ad aumentare la comunicazione fra gli uomini, se serve a migliorare la possibilità di condividere esperienze, allora penso che sia fondamentalmente buona, anche se magari può essere usata a scopi malvagi. I miei esempi preferiti da questo punto di vista sono che la televisione è cattiva, mentre il telefono è buono. (Jarod Lanier
Piangere sulla fine della distanza, protestare contro lo strapotere della tecnologia, rimpiangere i bei tempi in cui soggetto di conoscenza e soggetto di esperienza erano due cose ben distinte e padroneggiabili, ammonire severamente sui pericoli delle nuove macchine mentre si prospera foraggiati da coloro che le costruiscono e ci lucrano, tutto questo non servirà a un bel niente. La scommessa è lì, come sempre è stato nella storia della specie, come sempre è stato in questi ultimi cento/centoventi anni. La tecnologia microelettronica introduce per la prima volta condizioni di trasparenza, di pervasività, di domesticità che i gestori, i burocrati e i manager della morente civiltà industriale si ingegnano a imbrigliare. Gli artisti, i progettisti, gli utenti, non hanno che da prendere quella tecnologia, lavorarci e sudarci, divertirsi, incazzarsi, liberarla dalle logiche che non le sono proprie, costruirci sopra un progetto di vita diverso. Perché quella tecnologia lo consente: e se la rivoluzione dell'immaginario, della civiltà dello spettacolo e dell'immagine (la loro morte), è così convulsa, così dolorosa, così lacerante, la colpa non è né del computer né della televisione: è di chi li usa, distorcendoli, per perpetuare una logica che dovrebbe essere morta da un pezzo. (Antonio Caronia)

La prima citazione, risalente a un'intervista del 1988 allo scrittore William Gibson, è forse quella più banale ma anche quella che mi trova più d'accordo. Si avvicina all'approccio che - dopo anni abbastanza sbilanciati verso il lato luminoso del progresso digitale - sto maturando nei confronti delle nuove tecnologie, in particolare quelle legate a Internet (anche se ormai parlare di "Internet" inizia ad avere un sapore vagamente vintage, parzialmente obsoleto). Un approccio di sicuro più disincantato ma che penso (spero) essere anche più equilibrato e nel quale, paradossalmente, l'insofferenza per le posizioni luddiste più radicali esce addirittura rafforzata. 

La seconda citazione proviene da un'intervista del 1989 ed è la più interessante per almeno due ragioni. Primo, perché è di Jarod Lanier, protagonista di una delle più radicali conversioni in fatto di analisi e giudizio delle nuove tecnologie: da guru e testimonial della prima realtà virtuale negli anni '90 (incarnazione che emerge dal libro di Caronia) a osservatore critico e piuttosto pessimista delle ultime evoluzioni della rivoluzione digitale, soprattutto nei suoi effetti economici e sociali (Lanier: il web sta uccidendo la classe media, Il Venerdì, luglio 2014). Ma la citazione è interessante anche perché - seppure a prima vista condivisibile - oggi viene messa a dura prova da ciò che assistiamo nelle grandi arene della comunicazione sociale. Di fronte agli eccessi che emergono sui social network - sia in fatto di rumore collettivo che di derive comportamentali dei singoli individui - credo sia ormai difficile affermare che "una tecnologia che serve ad aumentare la comunicazione fra gli uomini e a migliorare la possibilità di condividere esperienze sia fondamentalmente buona". C'è un aspetto che i tecnoutopisti hanno mancato di prevedere e che oggi appare difficilissimo da limitare/correggere: il caos che deriva quando la "tecnologia che serve ad aumentare la comunicazione fra gli uomini e a migliorare la possibilità di condividere esperienze" viene consegnata liberamente a oltre un miliardo di persone. Proprio per la natura a network di questi strumenti, in cui si predilige l'esperienza pubblica/collettiva a quella privata/personale, qualsiasi forma di comunicazione viene giocoforza proiettata in una sorta di mercato dove siamo tutti un po' pescivendoli, impegnati a urlare la bellezza delle nostre mercanzie. E a parlar male di quelle altrui.

L'ultima citazione è dell'autore del libro. Saggista, giornalista, esperto di fantascienza, Antonio Caronia è morto a Milano il 30 gennaio del 2013. "Il virtuale" è un libro che raccoglie due saggi: Il cervello messo a nudo dai suoi scapoli virtuali (1990-1994) e Icone messe a nudo sulle autostrade virtuali (1993). In certi punti il testo fa tenerezza per la sua evidente distanza dal presente (gli over 30 forse ricorderanno quegli anni ruggenti e lo-fi in cui l'esperienza di realtà virtuale si viveva con un casco e un guanto), in altri sorprende invece per lo sguardo profetico e per i punti di contatto con il 2014 (è sempre illuminante trovare riflessioni/opinioni che provengono da un contesto temporale, sociale e in questo caso soprattutto tecnologico molto diverso da quello presente, eppure che suonano attuali e calzanti: aiuta a smussare con un pizzico di relativismo gli spigoli più acuti del nostro pensiero).

Snello (una cinquantina di pagine), a buon prezzo (1,99€ l'ebook), Virtuale è di rapida lettura. Consigliato soprattutto a chi ama l'analisi e l'interpretazione di certi temi a sfondo tecnosociale (in questo caso la realtà virtuale e l'idea stessa di virtualità), condotte intrecciando riferimenti classici di sociologia e comunicazione (McLuhan, Bettetini, De Kerckhove) con la visione di grandi autori di fantascienza (Dick, Ballard, Cronenberg, Gibson e gli araldi del cyberpunk).