venerdì, settembre 05, 2014

Che fine ha fatto la grande musica?


Si vende poca musica semplicemente perché oggi si produce brutta musica?

Se lo chiede Peter Getty su Hypebot. E se l'odore di semplificazione è molto forte, basta passare in rassegna le classifiche di fine anno dell'ultimo decennio (2005-2014) per dare un po' di credito al suo dubbio. No, non si produce solo brutta musica. Non mancano dischi carini. Anzi, ne siamo circondati e ce ne sono anche alcuni che possono essere definiti belli. Ma dove sono i capolavori? Dove sono gli album destinati a rimanere come simbolo luminoso e fiammeggiante di un'epoca? In soldoni, che fine ha fatto la grande musica?

Avanzo qualche ipotesi, tutte legate all'orecchio di chi ascolta:

1. La grande musica c'è, ma è sommersa dal rumore.
Distratti dai millemila stimoli sonori che vengono distribuiti in tempo reale (canzoni, album, EP, video, remix, mashup, live, esperimenti vari), incapaci di trovare una benedetta guida - umana o artificiale - in mezzo alle chiacchiere e ai commenti che si affastellano nell'universo (comprese quelle che produciamo noi), condannati all'incessante inseguimento del nuovo che non ci lascia più il tempo di entusiasmarci per qualcosa perché dobbiamo subito pensare al qualcosa dopo (l'euforia non è entusiasmo, così come non lo sono i like), la grande musica del presente non siamo in grado di riconoscerla e quindi di viverla. C'è, è meravigliosa, ma sguscia via come un'anguilla. Saranno i nostri nipoti, dotati di superfiltri tecnobiologici o semplicemente di un briciolo di saggezza in più e di schizofrenia in meno, a recuperare la capacità di localizzarla sotto la polvere digitale. 

2. La grande musica c'è, ma non ne sentiamo più il bisogno. E quindi non è più grande.
Oggi si ascolta molta più musica che in passato. In sottofondo, però. Facendo altro. Si cerca più una colonna sonora che non dia fastidio, rispetto a qualcosa che occupi la mente e sconvolga l'anima. Forse è proprio per questo che i servizi in streaming da 20 milioni di canzoni spopolano rispetto all'acquisto del singolo disco: l'unità di misura si è disciolta nel tutto. Altre forme artistiche/spettacolari occupano la mitologia del presente, altre occupazioni prendono in ostaggio il nostro tempo libero. Non mi riferisco alla vita che passa, al lavoro su cui si tribola, ai figli che arrivano. Pensate proprio al tempo libero e - per non cadere nella trappola dell'arcadia analogica - alla rapida mutazione avvenuta negli ultimi dieci anni nei gadget che ormai lo comandano. È ben visibile in qualsiasi mezzo/luogo pubblico: il simbolo dell'iPod erano le cuffiette bianche, magari camminando si finiva sotto un treno, ma lo si faceva per una ragione nobile, perché "si era distratti dalla musica". Il simbolo degli smartphone è lo sguardo incollato allo schermo. Le cuffiette ormai sono un optional. Se un tempo la grande musica si poteva scoprire anche solo su un autobus diretto a scuola, oggi in quegli spicchi di tempo si preferisce giocare a Ruzzle, connettersi a Facebook, scrivere un messaggio su WhatsApp.   

3. La grande musica c'è, ma tu 38enne-che-ti-lamenti-sempre sei troppo vecchio e appesantito dal Novecento per riconoscerla. 
Bisognerebbe aprire una gigantesca parentesi su che cos'è "grande musica". Guardando non tanto al risultato finale, quanto al percorso che si compie per definirla, identificarla, spiegarla. Se si riesce a sviluppare un pensiero senza chiamare subito in soccorso i Beatles, Bob Dylan o anche solo Nirvana e Radiohead, allora forse c'è ancora una speranza di catturarla nel futuro. Altrimenti, non c'è scampo: la grande musica sarà sempre e solo quella di ieri.  Perché da quella di domani - nella più alta delle ipotesi - vorresti qualcosa come i Beatles, ma appena arriva non ti piace perché è una copia dei Beatles. Nella più banale, vorresti qualcosa come ciò che ascoltavi a 20 anni ma quando arriva non ti emoziona allo stesso modo perché non hai più 20 anni. È la maledizione dello splendido passato che abbiamo a portata di mano, memoria e orecchie. È la maledizione di quest'era in cui viviamo tutti più da critici musicali che da appassionati ascoltatori. Beati i Beatles che hanno potuto lavorare senza che nessuno li paragonasse ai Beatles. 

4. La grande musica non c'è.
Tutto quello che stiamo vivendo, producendo, ascoltando, condividendo è solo radiazione cosmica di fondo del trentennio 1963-1997*, Suprema Età d'Oro del Rock, un po' come - a spanne - il 1945-1965 è stata l'Età d'Oro del Jazz e il 1760-1830 quella della Musica Classica. Oggi nessuno si chiede perché non si crea più grande musica classica. Forse lo stesso discorso vale per rock et similia. The game is over.

*Il 1963 è l'anno del primo album dei Beatles, il 1997 quello di OK Computer e - ipotesi 3 docet - ho il vago sospetto di appartenere alla categoria di persone che hanno poche speranze di trovarla e viverla, la grande musica del futuro. Quindi mi ritiro dalla ricerca. Da oggi mi limiterò a godermi dischi carucci come They Want My Soul degli Spoon, che ha accompagnato in modo fresco e piacevole - in sottofondo - la stesura di questo post.