La prima pagina di Bad Paper |
Anno dopo anno, la maledizione del giornalista e del giornale moderno su Internet si configura sempre più nel “traffico”. In mancanza di modelli di business alternativi, gli accessi a un sito rappresentano l'unica voce determinante nel generare introiti pubblicitari. Ciò spinge redattori e scrittori ad adottare soluzioni sempre più plateali con il solo scopo di attirare contatti: vedi il proliferare di gallery fotografiche, video buffi acchiappalike, übergossip, contenuti scopiazzati e lanciati attraverso titoli scelti per attirare il più alto numero possibile di visitatori, a prescindere dal reale legame con i temi trattati. È un circolo viziosissimo dal quale non si intravedono vie d'uscita, anche perché alimentato dalla tendenza di massa dei lettori non solo a – per usare un francesismo – leggere & condividere minchiate, ma anche a fare da cassa di risonanza a ciò che lo fa arrabbiare (sollevare l'indignazione popolare su Facebook è un modo infallibile per raggranellare qualche contatto in più).
Molti addetti ai lavori iniziano a rendersi conto, con un crescente senso d'asfissia, del vicolo cieco in cui si stanno (ci stiamo) infilando. E non è un caso che si moltiplichino i progetti che – magari anche discutibili nel loro modo di reinventare la narrazione giornalistica – dichiarano tra gli obiettivi quello di slegarsi dall'ansia da prestazione digitale. Stamattina mi sono imbattuto in uno di questi, presentato in un articolo di Felix Salmon risalente allo scorso aprile. Nell'annunciare il suo passaggio dall'agenzia stampa Reuters alla start-up Fusion, il giornalista americano scriveva:
Most excitingly for me, the raison d’être of Fusion’s digital operation is not to get lots of unique visitors to Fusion’s website, who can then be sold to digital advertisers. That’s a tough business to be in, and is not particularly remunerative, in a world of falling CPMs.
E ancora:
So while everybody else fights with each other to get millions of unique visitors to their websites, we will be happy to go reach the audience wherever they are.
Al momento, quello di Salmon appare poco più che un wishful thinking. La speranza che un percorso di produzione di contenuti transmediali (sviluppati su canali diversi, creando un ponte tra social network e tv via cavo) possa generare una sostenibilità economica slegata dalla ricerca di audience non viene suffragata da basi concrete. Inoltre, sebbene l'inseguimento di una nuova formula post-text (post-testuale) annunciata da Salmon sembri ormai inevitabile in un mondo in cui l'informazione viaggia più su schermo che su carta, una rapida esplorazione della homepage di Fusion richiama più che altro alla mente il linguaggio colorato e forzatamente provocatorio di realtà come Vice, cioè proprio quello che ha accelerato il percorso di contaminazione sensazionalistica dell'informazione su Web e il suo parallelo insaziabile appetito di like e views polemiche (tra i contributi di Salmon, per certi versi interessante, c'è Bad Paper, un gioco in cui il lettore agisce nel mondo della riscossione debiti negli States).
Insomma, siamo sempre un po' impantanati nella palude dello scetticismo, della confusione e dell'abuso di "sex" e altre parole-chiave. Ma almeno inizia a diffondersi quella consapevolezza - anche apertamente dichiarata - che l'unica via di fuga al maelstrom dell'informazione contemporanea stia nell'opporsi alla dittatura del traffico. Nel provare a inventarsi qualche soluzione differente. Senza arroccarsi sulle torri d'avorio, ma senza nemmeno piegarsi a una versione distorta, bovina e totalmente passiva del "dare al pubblico ciò che vuole". Penso sia ormai sotto gli occhi di tutti come la selvaggia caccia ai contatti non stia affatto salvando il mondo dell'informazione e tanto meno aumentando il livello di informazione nel mondo.