martedì, ottobre 01, 2013

Sulle tracce di Alberto Denti di Pirajno, lo scrittore-medico italiano che piace a David Bowie



Alberto Denti di Pirajno, chi era costui?

Nasce a La Spezia il 7 marzo 1886.
Laureato in medicina nel 1910.
Sopravvissuto a Caporetto nel 1917.
Ufficiale medico in Libia tra il 1924 e il 1929.
Assistente di Amedeo di Savoia (credo sia lui; gli Amedei di Savoia sono numerosi).
Funzionario coloniale in Eritrea, Somalia ed Etiopia tra il 1930 e il 1938.
Quindi di nuovo in Libia dove il 23 gennaio 1943, come prefetto di Tripoli, consegna la città al generale britannico Montgomery.
Prigioniero in Kenya dal 1943 al 1946.
Muore nel 1968.
Questo per quanto riguarda gli studi, la politica, la guerra, la vita e la morte.

Poi c'è l'attività letteraria.
Alcuni romanzi (tra cui La mafiosa e Ippolita) e la trilogia dedicata all'attività di medico in Africa:
Un medico in Africa (Neri Pozza, 1952)
A Grave For a Dolphin (Deutsch, 1956, scritto in inglese)
La mia seconda educazione inglese (Longanesi, 1971, postumo)
Il tema della civilizzazione, del fardello dell’uomo bianco, della necessità di elevare popoli primitivi a concezioni più elevate e a modalità più “civili” di esistenza è presente nell’opera di Pirajno. Non gli è estraneo quel paternalismo che informa ogni impresa e ogni discorso coloniale e conosce fin troppo bene il mito del buon selvaggio, anche se rielabora questi strumenti di dominio e questi miti in maniera personale, adeguata alle circostanze. Nelle prime pagine di A grave for a dolphin, il libro rivolto al pubblico anglofono, pubblicato esclusivamente in lingua inglese nel 1956, sembra quasi che si senta di dover dare indicazioni alla potenza inglese, che a quel tempo viveva il declino del suo Impero, su modalità che avrebbero interferito in maniera meno pesante nella vita di popoli altri; sembra che voglia insegnare agli inglesi certe “buone maniere” che sono sovente mancate nella loro attitudine verso i popoli sottomessi, nonché verso i prigionieri di guerra.
Tutte queste informazioni, compreso l'estratto qui sopra, provengono da un .pdf, Alberto Denti di Pirajno: medico, funzionario, scrittore, redatto da Marianna Scarfone dell'Università Ca' Foscari - Venezia, nel 2011, per un convegno sui funzionari del periodo coloniale. 

Un'unica fonte? Sì, perché sul Web non si trova molto altro su Alberto Denti di Pirajno. Nessuno ne parla: forse per il suo legame con il fascismo e il colonialismo, forse perché non se lo merita dal punto di vista letterario (ma non si direbbe: "Un medico in Africa è forse il più bel libro scritto da un italiano sulla Libia" sostiene Stefano Malatesta su Repubblica*), forse perché il suo destino è stato semplicemente quello di perdere la partita a dadi con Internet e finire in uno di quei misteriosi buchi neri della Rete, quelli dove si nascondono chissà quanti altri artisti, autori, scienziati, poeti, calciatori e navigatori, non rintracciabili persino dal potente radar collettivo di Wikipedia (su Alberto Denti di Pirajno c'è solo una scarnissima paginetta in tedesco). 

Su Amazon praticamente tutti i suoi libri appaiono fuori catalogo. Anche Google Images alza quasi bandiera bianca. Ho trovato solo una foto, proviene dal sito della Biblioteca Reale di Copenaghen, lo ritrae assieme a Karen Blixen (l'autrice de La mia Africa) ed è a suo modo molto tenera: uno scambio di sguardi in cui probabilmente scorrono e si riconoscono orizzonti e ricordi ormai lontani. 

Sul retro si legge:


Naturalmente, anch'io non avevo mai sentito parlare di Alberto Denti di Pirajno. Fino a stamattina, quando il titolo A Grave For a Dolphin è comparso - unica presenza di un autore italiano assieme al ben più noto Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa - tra i 100 libri preferiti da David Bowie (che a contare bene non mi pare siano 100, e non sono nemmeno tutti libri, e chissà se sono davvero i suoi preferiti, ma il discorso non è questo...).

* Vent'anni prima, nel 1994, Malatesta l'aveva addirittura giudicato "il più bel libro sull'Africa scritto da un italiano negli ultimi cinquant'anni". I due articoli di Malatesta, nell'archivio online di Repubblica sono tra le altre scarsissime fonti che sono riuscito a rintracciare.