giovedì, luglio 11, 2013

Per fortuna l'hanno trovato, e ci hanno anche raccontato come


Sono finalmente riuscito a vedere Searching For Sugar Man, il film sul musicista americano Rodriguez e sul suo successo in Sudafrica, premio Oscar come miglior documentario del 2012. Condizioni ideali: accogliente cinema in centro a Torino, discreta aria condizionata a lasciar fuori per un paio d'ore il sudore dell'estate, versione originale con sottotitoli. E soprattutto: un film da ricordare, passaparolare, magari anche rivedere.

La storia, molti di voi la conosceranno. Classe 1942, discendenze messicane, base a Detroit, nei primi anni Settanta Sixto Díaz Rodríguez incide due album - Cold Fact e Coming From Reality - destinati all'immediato oblio. Ovunque. Tranne in Sudafrica. Dove, per qualche arcana ragione (che in Searching For Sugar Man viene anche legata a un sentimento di ribellione nei confronti dell'apartheid), diventano dei bestseller. Al punto che "in tutte le case della classe media bianca trovavi Abbey Road dei Beatles, Bridge over Troubled Water di Simon & Garfunkel e Cold Fact di Rodriguez". Ad aumentare il mito, a un certo punto si diffonde anche la voce della morte del cantante, tramite pirotecnico suicidio su un palcoscenico.

Ma Rodriguez è vivo. Vegeto. Sta semplicemente facendo altro. E il Sudafrica lo scopre quando un giornalista e il proprietario di un negozio di dischi, a metà anni Novanta, riescono a rintracciarlo.




L'Internet (cit.)
Cerco di non aggiungere molte altre informazioni, perché il film merita assolutamente di essere visto e di sicuro lo si gode meglio se non si sa troppo della trama e dei suoi colpi di scena (per quanto appartenenti alla vita reale e ormai facilmente rintracciabili online). Due o tre pensierini, però, me li tolgo dalla scarpa. Il primo riguarda l'avvento di Internet. Da un lato, agevola il ricongiungimento tra il Cantante e la sua Terra Promessa. Non è un caso se ciò avviene a fine anni Novanta e non nel 1979, nel 1986 o nel 1992: il film spiega bene come e perché. Dall'altro lato, però, il Web è ciò che rende praticamente impossibile il ripetersi di una storia simile. Non esiste paese, tranne forse la Corea del Nord, dove oggi un artista (o chiunque) potrebbe diventare famosissimo, senza che il resto del mondo se ne accorga nel giro di qualche link. Oppure, dove gli stessi fan non riescano a trovare informazioni su di lui, magari anche a chattarci un po'. Credere erroneamente che qualcuno sia morto per oltre vent'anni? Nell'era di Wikipedia, Facebook e Google, ciò è difficile che accada riguardo a una persona comune, figurarsi per un cantante presunto suicida su un palcoscenico. 

Colpo di lunga coda.
Qualche giorno fa ho fatto un esperimento su Spotify: ho creato una playlist basata sulle Top 10 dei singoli in 31 paesi diversi. L'obiettivo iniziale era quello di origliare gli ascolti altrui - a Hong Kong, in Messico, in Estonia - nella speranza che saltasse fuori qualcosa di meritevole, di sorprendente, di "diverso" dal nostro universo musicale. Inconsciamente, forse, andavo proprio a caccia di uno sugar man. Un artista o una band interessante, già scoperta o premiata da qualche popolazione lontana, ma non ancora arrivata alle nostre orecchie (inciso: le canzoni di Rodriguez sono semplici e belle; i paragoni nel film, da Bob Dylan in giù, sono fin troppo lusinghieri e di sicuro funzionali all'enfasi del racconto, ma la verità è che esci dalla sala fischiettando I Wonder e Crucify Your Mind). Sebbene non l'abbia poi portata del tutto a termine, dalla panoramica delle charts su Spotify è emersa una realtà un po' sconfortante: di un altro sugar man, per ora, nessuna traccia. Al suo posto - piuttosto visibile - la crescente omologazione/globalizzazione degli ascolti. Nella Top 10 di 28 dei 31 paesi c'è la versione-singolo di Get Lucky dei Daft Punk (e in 14 c'è anche la versione-album), in 27 ci sono Blurred Lines di Robin Thicke e Can't Hold Us di Macklemore. Il sogno della lunga coda è già finito? Tutti stiamo tornando ad ascoltare più o meno le stesse cose? L'intreccio tra la tendenza al colonialismo e all'uniformazione culturale e la necessità di trovare strumenti che ci aiutino a sopravvivere all'oceano dei contenuti (giocoforza, limitando la scelta) sembrano muoverci verso un'epoca che di sicuro è potenzialmente più libera del XX secolo (Robin Thicke? Macklemore? Daft Punk? In questo momento ascolto Rodriguez e nessuno può impedirmelo), ma comunque orientata verso la restaurazione dell'hit parade. Una restaurazione che però - proprio complice Internet - è ancora più globale che in passato. Coinvolge molti più paesi, latitudini, popoli. Sudafrica compreso: lì Spotify non è ancora attivo ma iTunes sì e in questo momento nella Top 10 ci sono Get Lucky e Blurred Lines. Rodriguez? La colonna sonora di Searching For Sugar Man, un po' malinconicamente, è al 176° posto tra gli album, Coming From Reality al 194°. Insomma, si torna al discorso accennato nel paragrafo/capitolo precedente: una storia incredibile e aliena come quella del successo isolato di Rodriguez in Sudafrica, oggi non può più ripetersi. Il che non è necessariamente un male: magari così un artista la sua popolarità (e i relativi benefici) se li può godere subito e non - come accaduto al cantautore di Detroit - quando ha già doppiato la boa dei 55 anni. E di certo questa unicità rende ancora più prezioso, magico, emozionante ciò che ci viene rivelato in Searching for Sugar Man. Che è davvero un film speciale...

L'assassino è il maggiordomo. Nero. 
... dove, comunque, salta all'occhio anche qualche increspatura. Anche solo a livello di curiosità, di sensazione, di piccola inquietante interruzione nella matrice. Come accennato sopra, il successo di Rodriguez avvenne esclusivamente nel Sudafrica bianco. Giovane, ribelle, liberal... ma bianco. E' logico: gli appartenenti alla comunità nera di sicuro negli anni dell'apartheid avevano ben altro a cui pensare e la popolazione era divisa da un muro impermeabile anche al potere della musica. Ma è qualcosa che in Searching for Sugar Man lascia una traccia molto nitida: tutti i personaggi che sfilano nel documentario - dai protagonisti (il giornalista segugio, il negoziante di dischi, i musicisti, i distributori sudafricani) alle migliaia di spettatori che nel 1998 possono finalmente applaudire il loro idolo - sono invariabilmente bianchi. Tutti. Eccetto uno. E l'unico uomo nero del film (seppur americano) è anche l'unico Uomo Nero di questa strana favola. L'unico cattivo. E' un caso, ovvio. Ma in un film che racconta una storia ambientata in un certo Sudafrica fa l'effetto di una strana cicatrice. 

Questo post è stato scritto inevitabilmente e piacevolmente ascoltando: