mercoledì, giugno 05, 2013

Bastard Access Memories. L'album dei Daft Punk attraverso cover, mash up e remix (1/3)

(Daft Punk in Lego by Jake Meier)


Nel 2013 la popolarità globale di un brano spesso si valuta (e si alimenta) attraverso le cover e i remix che il medesimo riesce a generare su YouTube. E' un postulato che emerge dalla radiografia dei più recenti tormentoni della generazione social - le Don't Call Me Maybe, le Gangnam Style, gli Harlem Shake - per i quali è incalcolabile il beneficio tratto dalle imitazioni/rielaborazioni viralmente moltiplicatesi online. Quanti conoscerebbero Harlem Shake se non esistesse YouTube? Le ragioni del fenomeno ci riportano alle basi stesse del 2.0: in particolare, alla facilità con cui oggi chiunque può produrre contenuti (testuali, visivi, sonori, multimediali) e diffonderli sul Web. Se nel 1996 ci fosse stato YouTube, facile pensare che sarebbe rimasto inondato dai video di gente che ballava la Macarena. Nella maggior parte dei casi, il meccanismo viene attivato da un istinto ironico-parodistico, raramente segue ambizioni artistiche o ispirazioni creative particolarmente accentuate, e quasi sempre si riferisce a un singolo brano.  

Almeno fino a ieri. Random Access Memories dei Daft Punk è forse il primo esempio di album passato integralmente nel filtro del remix globale. A sole due settimane dalla pubblicazione, sono già centinaia i contenuti derivativi caricati su YouTube, coprono tutte le categorie espressive più popolari in ambito Web (remix musicali, video mash up, cover), sono spesso spinti da un istinto creativo che va oltre all'imitazione stile Gangnam Style o alla zuzzurellona sguaiatezza alla Harlem Shake e, soprattutto, coprono l'intera tracklist del disco. In un periodo storico in cui - per varie ragioni (dal deficit d'attenzione del pubblico all'esaurimento dell'ispirazione degli artisti, alla natura stessa dell'infrastruttura tecnologica) - l'album mostra segni di sofferenza, forse potremmo ipotizzare una variazione (remix?) del postulato d'apertura: nel 2013 uberpartecipativo, l'effettiva presa di un album (sul pubblico e sull'immaginario globale) si valuta in base a quante delle sue canzoni riescono a generare cover e remix.

Random Access Memories, dunque, ha fatto bingo. In questo speciale, suddiviso in tre puntate, trovate un possibile racconto alternativo dell'album, attraverso le cover, i mash up, i remix e gli altri frammenti digitali che gli utenti hanno caricato su YouTube*. Canzone dopo canzone, variazione dopo variazione, access memory dopo access memory. A volte rimanendo tranquillamente dentro i confini della forma (musicale) originale, altre gettando il cuore e i bit oltre le Colonne d'Ercole. Sempre aggiungendo sfumature percettive, associazioni/connessioni e chiavi di lettura, a seconda della fantasia, dell'umore, della competenza tecnica di musicisti, videomaker, smanettoni, artisti, fan. Ne viene fuori una creatura ultrabastarda, ultramediale, ultranostalgica, ultramutante (nel momento stesso in cui scrivo, chissà quante altre rielaborazioni vengono caricate online...). A suo modo, simbolo caotico ed effervescente, abbondante e ridondante, della realtà che stiamo vivendo. Bando alle ciance, via alle danze.

* Il progetto originale prevedeva anche l'esplorazione di Vimeo, Soundcloud, Bandcamp, DeviantArt, Facebook e di tutti gli altri possibili contenitori di remix (non necessariamente digitali) disponibili. L'alluvione di materiale trovato su YouTube mi ha fatto repentinamente cambiare idea.



1. Give Life Back To Music 

Pronti, partenza, via. Due sono i tratti che saltano subito all'o(re)cchio in Random Access Memories: la ballabilità di molte sue canzoni e la retromania praticamente di tutte. I Daft Punk hanno cancellato trentacinque anni di musica sintetica (compresa quella prodotta in passato dagli stessi Daft Punk) e sono tornati al 1979 o giù di lì. Non è dunque un caso che il poderoso e contagioso brano d'apertura dell'album sia stato subito accompagnato su YouTube da una salva di mash up che lo abbinano al mondo del vintage audiovisivo. A chi volete assegnare il compito di ridare vita alla musica? A Michael Jackson e ai suoi amici zombi di Thriller?



... al John Travolta giovincello degli anni '70?



... o al bianco & nero della nouvelle vague?



O forse preferite fare un salto a cartoonlandia?



2. The Game of Love

Una volta la fretta era solo una cattiva consigliera. Oggi è una stronzetta che non ci molla più soli nemmeno un istante. Siamo sempre di corsa, all'inseguimento di qualcosa, con l'orologio mentale sempre acceso, a scandire minacciosamente minuti e secondi. Non solo nel lavoro: anche nell'intrattenimento e persino nel gioco dell'amore. Se quanto avete appena letto vi appare banale, stucchevole e soprattutto un po' artificiale, avete perfettamente ragione. E' un ragionamento costruito con il bieco fine di presentare questo remix della lenta e sognante The Game of Love, accelerata e risvegliata fino a ridurne la durata di un minuto circa rispetto all'originale. 



Per la legge del contrappasso o per quella dei grandi numeri, comunque, c'è anche chi avrebbe davvero beneficiato se i Daft Punk avessero avuto fretta e tagliato un minutino da The Game of Love. Per esempio, l'autore del più bel video mash up della canzone che ho trovato online, quello con  il cortometraggio Nuit Blache di Arev Manoukian. Romanticismo in bianco e nero, ampio uso della slo-mo, suggestioni noir. Peccato solo che le immagini si esauriscano quando il brano ha ancora un lungo percorso da compiere. 



3. Giorgio by Moroder

Avete mai visto assieme Werner Herzog e Giorgio Moroder? Non è che sono la stessa persona? Ascoltando il monologo di Moroder che apre questo brano, il dubbio sorge spontaneo. Sembra di sentir parlare il regista tedesco: lo stesso timbro di voce, lo stesso inglese dall'accento teutonico, la stessa serafica saggezza del vecchio artista che da giovane doveva essere un bel birbante, ne ha tante da raccontare e trasuda nobiltà da ogni pausa. Se poi aggiungiamo che negli anni '70 avevano entrambi i baffi... Facezie a parte, anche Giorgio By Moroder ha subito la sua buona dose di contaminazioni da parte della crowd su Internet. Numerosi sono soprattutto i remix e le cover. Tra i primi, uno che - soprattutto nell'abbinamento video - presenta nuovi e intensi sussulti retromaniaci (questa volta riferiti agli anni '80).



Tra le cover, invece, una che dimostra per l'ennesima volta come anche brani all'apparenza complessi, stratificati su più livelli e più basi, possano essere resi live - con buoni risultati - da un singolo musicista-con-potente-tastiera-e-mani-ben-addestrate.



Poi, per chi ha più tempo, ci sono anche la pillola a 8-bit e la satanica versione al rovescio, dove l'inglese di Moroder si trasforma in una sorta di ugrofinnico dei Grandi Antichi (se il vostro sabba richiede una colonna sonora più lunga, sappiate che l'autore ha rovesciato l'intero album). Che altro aggiungere? Ah, sì: my name is Giovanni Luca**, but everybody calls me Luca.

** Non è assolutamente vero. 



4. Within

Il brano originale ha un incipit da ballatona al pianoforte, e come tale ha generato numerose cover strumentali pianistiche: riprese da sopra, di lato o magari "insegnate" con l'aiuto di un software. Non ci si è però fermati lì. Anzi, alcune delle versioni più interessanti sono proprio quelle che rinunciano a tasti neri e bianchi. Magari inseguendo un mix tra chitarra unplugged, voce effettata, immagini sfocate e atmosfera romantico/soffusa, diciamo un po' alla Maximilian Hecker...



... oppure, ci traghettano idealmente in Corsica, con il semplice ausilio di una chitarra classica e di una sciarpa dell'Ajaccio...



... o ancora aggiungono alla tastiera un Mac, un tubo da dentista, un po' di stunz e un'estetica alla Hot Chip.





5. Instant Crush 
(feat. Julian Casablancas)

Altro bel probabile futuro singolone, remixato e coverizzato su YouTube un po' in tutte le salse (ma soprattutto nella semplice configurazione dei Battisti del nuovo millennio: chitarra, voce & webcam). I risultati più interessanti, per il sottoscritto, arrivano però sul fronte del mash up audio-video. Per esempio per merito di Mindex523, un utente italiano della vivace comunità Deviant Art, che getta un ponte tra Random Access Memories e l'arte dello speed painting e dei disegni (digitali) che prendono forma sotto i nostri occhi. Nel suo caso, il ritratto è stilisticamente fumettoso e potremmo inserirlo nell'adorabile categoria "ragazza indie con sciarpotta e gattino". Solo che al posto del micio c'è un robot.



Sempre a sindacabile parere di chi scrive, la vera perla è però l'instant crush che si innesca tra il brano e le sequenze estratte da Drive che compongono il video qui sotto. La selezione è un po' sdolcinata, è vero: in Drive succedono tante altre cose, anche piuttosto violente. Ma il montaggio è efficace, le atmosfere di musica e immagini si incastrano alla perfezione e i falsetti di Julian Casablancas a un certo punto sembrano uscire direttamente dal cruscotto dell'auto guidata da Ryan Gosling. Poi c'è Carey Mulligan, che di sicuro corrompe il mio giudizio.





6. Lose Yourself To Dance 
(feat. Pharrell Williams)

Nauseati da tutto questo sentimentalismo? Ecco ciò che fa per voi: dei negri che ballano. Attenzione: non è razzismo, ma stima (e invidia) sconfinata. Perché l'energia che si sprigiona da questo incontro tra Lose Yourself To Dance e immagini d'epoca del programma tv Soul Train non è solo di altissima/purissima qualità, ma appartiene anche al lato buono della forza: pussa via malinconia, cuoricini volanti, spremute di sguardi e scenette familiari da Mulino Bianco. Pussa via anche tu, dolce Carey. Per sei minuti qui si sfoggiano acconciature afro, si indossano abiti attillati dai colori sgargianti e ci si scatena liberamente. Una bomba black che diserba la bianca gramigna del quotidiano.



Lose Yourself To Dance, per ragioni manifeste già nel titolo, è uno dei brani di Random Access Memories che ha maggiormente innescato un effetto-imitazione tipo Gangnam Style. Si mette su la canzone, si accende la videocamera e si balla fino allo sfinimento: sul fronte dei contenuti meno amatoriali, lo hanno fatto fanciulle in controluce (con effetti simili ai vecchi spot degli iPod), fanciulli in timelapse e sono state anche create coreografie per più ballerini. Inevitabile anche il proliferare di mash up con film a tema ballerino, un po' sulla falsariga di quanto visto in apertura, con Give Life Back To Music. Uno dei più sofisticati lo trovate qui sotto e mette assieme un po' di tutto: frammenti del video ufficiale del primo singolo Get Lucky, i fenomeni di Soul Train, Michael Jackson, l'Uomo Ragno in borghese e pure la Santa Trinità di John Travolta: il Padre (Tony Manero), il Figlio (Vincent Vega) e lo Spirito Santo (Thom Yorke).



(continua)