venerdì, maggio 17, 2013

Non può piovere per sempre: dal millesimo Internazionale al Mucchio digitale

Internazionale 1000


Apro la buca della posta e vi trovo dentro il numero 1000 di Internazionale. Doppio, per l'occasione. In allegato - simpatica idea - c'è una ristampa integrale del numero 1, uscito la bellezza di vent'anni fa. Quando ancora praticamente non c'era il Web. E quando, in anticipo sui tempi, i fondatori del giornale intuirono il segreto del terzo millennio: il bisogno di un filtro informativo. Un selettore di articoli e storie: professionale, affidabile, colto, intelligente, in grado di raccogliere in 100 pagine a settimana il meglio dell'informazione (straniera) contemporanea. Prima dei feed, prima di Google News, prima delle curation di siti come Il Post, prima della neopersonalizzazione dell'esperienza Web, Internazionale si è inventato un ruolo di aggregatore/selettore di notizie di qualità. Un giornale che non scrive articoli, ma che li raccoglie.

Obiettivo raggiunto? Dipende dai punti di vista personali. Il mio dice di sì. Internazionale è sotto molti aspetti un antidoto contro gli eccessi della nanocomunicazione Web: chi è abituato a boxini, tweet e pilloline, sulla rivista trova spesso malloppazzi lunghi, quando non lunghissimi. Storie per cervelli disposti a concentrarsi e riflettere su un determinato argomento anche per quindici minuti di fila. E i temi sono tosti: politica, guerre, società, scienza, tantissimi "esteri", scivolando pian piano verso la musica, il cinema, i libri, la fotografia, i fumetti, la cultura pop, l'oroscopo, le vignette finali. Il tutto tendenzialmente pendente verso sinistra. Ma una sinistra, anche questa, internazionale: non quella italiana (e dei giornali italiani), ma quella targata Der Spiegel, The Economist o che emerge dalle testate liberal d'oltreatlantico. 

Per me, rimane l'osservatorio prediletto sulla società e sul mondo. Un modo per rimanere aggiornato e capire dove stanno andando, la società e il mondo. Su musica e tecnologia ho assolutamente bisogno anche di altre fonti: più immediate, più digitali, più varie, più personali. Ma per il resto... Non a caso, è rimasta l'unica, ultima, valorosa rivista di carta a cui sono abbonato. Nell'editoriale del numero 1000 - questo sì, dal respiro di un tweet - il direttore Giovanni De Mauro scrive: "Grazie mille!". Altrettanto e buoni trezeri. 




Da ieri è online il nuovo sito de Il Mucchio Selvaggio, oggi più semplicemente Mucchio, storica rivista di musica & altro a cui collaboro più o meno dal giorno in cui i Radiohead pubblicarono OK Computer (o da quello in cui uscì Il dottor Dolittle? Non ricordo mai se ho iniziato nel 1997 o nel 1998...). Sono tempi duri per l'editoria e sono tempi ancora più difficili per questa testata, negli ultimi due anni passata attraverso a una serie di forti turbolenze, accompagnate da un'ampia eco online ("ampia" in rapporto ai confini, invero piuttosto ristretti, del circuito italiano rock&dintorni). 

Da parecchio tempo, Mucchio aveva bisogno di una presenza più forte su Web. Di un sito che portasse la rivista realmente al centro della conversazione sui social network (laddove oggi si consuma e si discute una parte rilevante della musica, del cinema, della cultura pop contemporanea): possibilmente non solo per le polemiche, ma anche per gli articoli. Dalla posizione un po' defilata in cui mi ritrovo oggi, mi sembra che il nuovo sito sia esattamente ciò che deve essere. Come grafica, semplicità, contenuti.

Qualcuno obietterà sull'assenza di elementi fortemente innovativi o sulla derivazione da modelli estetici comuni a molta altra informazione indipendente su Web (da Pitchfork in giù). Lasciando stare il discorso logistico (non bisogna mai sopravvalutare le risorse e il numero di persone che possono essere impiegate in simili progetti), al momento credo che l'obiettivo più pressante fosse un altro: esserci. E non solo con una statica presenza-vetrina da Internet dell'epoca grunge, ma con un certo stile, una certa varietà di contenuti, una certa consapevolezza degli strumenti a disposizione (comprese le playlist Spotify, forse l'unica sezione del sito di cui mi sento almeno parzialmente responsabile). Mi sembra che l'obiettivo sia stato centrato. Un punto di partenza? Sicuramente. Ma più lo guardo, più mi pare un buon punto di partenza. 

***

Di sicuro non bastano un millesimo numero o un nuovo sito a risolvere problemi più grossi, stratificati, macroeconomici e macroculturali. Il gran pavese e i coriandoli, meglio lasciarli nel ripostiglio. La lotta è dura e continua. E ahimè, non solo la lotta. Proprio su Internazionale, ieri leggevo della terrificante ma efficace strategia del boss di Samsung: agire come se ci si trovasse in una "crisi continua". Brrr. (qui l'articolo originale, su Bloomberg BusinessWeek). Ma io li interpreto come due segnali di vita. E pure di vita intelligente, che non guasta. Ciò di cui abbiamo bisogno e che dobbiamo contribuire ad alimentare.

Raggi di sole in una notte buia, lunga e tempestosa? Non saprei, ma guardate la foto qui sotto. L'ho scattata oggi pomeriggio. Mentre toglievo dal cellophane (pellicola riciclabile, pardon) il numero doppio di Internazionale, nella noiosamente piovosa Torino di questa finta primavera, si è aperto un improvviso squarcio di cielo azzurro. E la luce solare lo ha subito perforato. Non esiste prova scientifica che sia di buon auspicio. E la luce spesso gioca brutti scherzi. E ormai dovremmo avere imparato che dobbiamo essere sempre pronti al peggio, non solo perché ce lo dice il signor Samsung. Ma la sensazione non è stata spiacevole.