giovedì, febbraio 28, 2013

Alla pugna!


Le vie della creazione di contenuti ai tempi di Internet sono infinite. Assai meno lo sono quelle che portano a una loro monetizzazione. Per questo, rimango sempre ammirato da quegli artisti, quei creativi, quelle realtà, che oggi riescono a emergere dal brodo primordiale del Web; a conquistare spazi di visibilità, rigorosamente dal basso, grazie alla freschezza dei contenuti, al passaparola, ai like su Facebook; senza le spintarelle della tv, della pubblicità, dell'xfactorchef di turno. E, in un secondo momento, che magari riescono anche a convertire questa popolarità in guadagno.

Mi viene in mente Zerocalcare, quel geniaccio piovuto a inizio 2012 dal nulla (almeno per chi non frequentava la scena del Forte Prenestino a Roma), che sull'onda di fumetti pubblicati gratuitamente online ha venduto migliaia di copie di libri autoprodotti e distribuiti solo su Internet (la prima versione de La profezia dell'armadillo) o stampati da una casa editrice piccola, agile e agguerrita come BAO Publishing (la versione a colori di La profezia dell'armadilloUn polpo alla gola e un uccellino-armadillo mi sussurra che interessanti novità potrebbero essere in arrivo nei prossimi mesi...).


Oppure Feudalesimo e Libertà, gruppo facebookiano che da alcuni mesi diverte il Web con le sue feudalizzazioni di immagini, idee, personaggi, paure e pulsioni. Non solo ha raggiunto una quantità di like (oltre 120mila) che ormai è praticamente pari agli elettori del quasi omonimo partito Futuro e Libertà, ma ieri ho scoperto che sono in vendita prodotti di merchandise, di quelli che siamo abituati a trovare ai banchetti dei concerti: t-shirt e spilline. Che poi finiscono in una galleria d'immagini in cui gli utenti si fotografano indossando la maglietta (l'immagine in alto è tratta da lì e ce ne sono già parecchie: qualche t-shirt devono averla venduta). 

Cerco di prevenire l'obiezione del cinico di turno: la soluzione alla fame nel mondo occidentale non è nella spillina (così come la soluzione a tutti i mali della musica per tutti gli aspiranti musicisti del pianeta non era nell'up-to-you dei Radiohead). Non ho la più pallida idea dei guadagni reali provenienti dai libri di Zerocalcare e tantomeno dei sesterzi che finiscono nei forzieri dell'imperatore di FeL. E di certo sarebbe inutile speculare sulle prospettive economiche a lungo termine di simili percorsi (d'altronde, oggi in quale settore si può ragionare a lungo termine?). 


Ma sullo spirito, sul principio, sull'emozione e su quei risultati che sono sotto i nostri occhi si può ragionare. Quello che mi sembra evidente, positivo e spero contagioso, è che anche in Italia, anche nella produzione di contenuti creativi (e quelli di Zerocalcare e FeL sono altamente creativi, nonché perfettamente inseriti nel contesto/approccio/linguaggio contemporaneo, soprattutto in ambito di citazione pop e remix), anche sotto questa lugubre cappa di pessimismo che ci avvolge, c'è ancora lo spazio per inserirsi, per raggiungere risultati, per emergere. E magari per raggiungere una ricompensa economica per i propri meriti.

Forse non moriremo tutti, insomma. Almeno non così presto come ci ripetono (e ci ripetiamo). Forse esistono anguste ma efficaci mulattiere che permetteranno al talento di tornare a germogliare, spazzando via quell'odioso mantra da malinconici mediterranei che è ormai colonna sonora dell'intero paese. Quello in cui si guarda nel museo retrovisore - al Rinascimento, a Verdi, a Fellini (e mettiamoci anche Marconi e Olivetti) - e si miagola: "non saremo mai più così belli". Iniziamo a gettare le basi, proviamo a muoverci (e a guardare) verso strade nuove, innovative, inedite. Nelle vignette e nei poster, così come in tutto il resto, cerchiamo di investire sul talento, sulla qualità, sulle idee (intese in senso concreto, non fuffoso di marketing). Sui nostri pregi e su quelli altrui. Progettiamo e lavoriamo nell'ecosistema contemporaneo. Magari scopriremo che c'è la possibilità di sconfiggere quell'insoddisfazione (economica ed esistenziale) che tanto angustia i nostri sonni. E che per farlo non bisogna per forza obbedire a Mordor.