martedì, marzo 05, 2013

"Valibation" (Todd Strauss-Schulson)

(recensioni digitali: spazio a contenuti disponibili, per ora o per sempre, solo in formato liquido)


“Whatever it is, it isn't in you. It is you”

Qual è la prima cosa che fate la mattina, appena svegli: controllate l'email o Facebook? 
Alternative, lo sapete, non esistono. Al massimo, Ruzzle. Negli anni '10 del ventunesimo secolo, la connessione con i social media è la prima preghiera della giornata. E con la diffusione degli smartphone, questo rito è diventato talmente facile e immediato che ormai lo si consuma spesso a letto. Al buio. Ancor prima di alzarsi, andare in bagno o aprire le persiane. 

Valibation di Todd Strauss-Schulson è un film che prende spunto proprio dal legame ormai indissolubile e protesico che abbiamo con i portatori mobili di tecnologia sociale. Nella fattispecie, un iPhone (ma voi potete sostituirlo con il vostro gadget di riferimento). 

Più che ribelle e sovversivo, l'horror è sempre stato un genere assai conservatore, inquisitore, repressivo, punitivo. Gli piace scavare nelle nostre debolezze, scandagliarci l'anima a caccia di peccati. E appena ne trova uno - zac! - adora punirci. Pensate a tutti gli slasher movies, da Venerdì 13 e Halloween in giù, in cui ragazzetti disinibiti venivano massacrati dal serial killer di turno. Oppure alle ripetute epidemie di zombi di cui siamo stati testimoni negli ultimi tempi, al cinema, in tv, su Web: una punizione dell'umanità su larga scala, no? 

Valibation, a modo suo, prosegue questo discorso e condanna il protagonista per il suo rapporto incestuoso con gli smartphone (nonché per la vivace attività sessuale che, da che horror è horror, viene sempre castigata). Lo fa passando attraverso gli archetipi narrativi ed estetici della fusione/mutazione, quelli che in passato abbiamo goduto in tutto il loro splendore in opere come Matango il mostro, La mosca (non a caso citato nella sequenza d'apertura) e Tetsuo

Un capolavoro? Forse no. Chi scrive non ha nemmeno ancora deciso se approva/apprezza il disturbante pseudo happy end, tra psicofilosofia motivazionista e umorismo nero. Ma sono venti minuti di assoluto impatto, che scartavetrano il nostro presente e giocano inesorabilmente con lo splatter, ipotizzando la nascita dell'ennesima nuova carne. Questa volta non a base di vhs (cit. Videodrome), ma rigorosamente digitale. E questa volta, chissà, forse molto meno fantascientifica.