Sull'ultimo numero del Mucchio Extra, all'interno dello speciale dedicato ai Pearl Jam, ho scritto che da loro non dovresti mai aspettarti un semplice concerto greatest hits. Ogni live è l'occasione per costruire scalette inedite, piene di sorprese, cover bizzarre, ripescaggi curiosi, ecc. ecc. Puntualmente, ieri sera a Venezia sono stato smentito: ho assistito a quello che - almeno per il sottoscritto - è stato il primo concerto greatest hits della band. Il primo concerto, cioè, con una scaletta studiata apposta per le dimensioni dello scenario (l'Heineken Jammin' Festival), per il ruolo da headliner e per la natura del pubblico (intorno alle 40,000 persone, una buona percentuale delle quali probabilmente al battesimo con la band). A un certo punto, lo stesso Vedder ha ammesso di non essere abituato a un'audience così numerosa.
E per la prima volta, da fan rompicoglioni quale sono, mi sono ritrovato a storcere un po' il naso di fronte ai totem di Seattle. A intervallare i numerosi moti d'entusiasmo (per Present Tense, per Just Breathe, per State of Love and Trust, per Unthought Known) con qualche sprazzo di sacrilega noia. Oltre che di pura fatica fisica: in questo caso non dovuta al meteo, come ai tempi dell'uragano che all'Arena di Verona nel 2006 mi aveva inzuppato fino alle mutande, quanto alla natura dispersiva del festival oceanico, che ti obbliga quasi subito ad abbandonare l'idea di seguire il concerto dal palco e a ripiegare sul maxischermo. Ecco, forse quella è stata la cosa (seppur preventivata) che ho patito un po' di più: i Pearl Jam non riesco proprio a considerarli un gruppo da maxischermo. Per me sono roba da catino infuocato, come il Forum di Assago, la Wuhlheide di Berlino o la stessa Arena di Verona. Dove tutti, in un modo o nell'altro, hanno gli occhi puntati sul palco. Più il cerimoniale di una setta, insomma, che una visita del Papa per la giornata dell'amicizia.
Mi rendo conto che è davvero il fan snob e cagacazzo che parla. L'apparizione di ieri all'Heineken è stata sacrosanta: per i Pearl Jam, per il pubblico, per l'HJF, per l'umanità intera. L'accoppiata finale Alive/Rockin' in the Free World non è una semplice danza scatenata di venti minuti: è un gioioso grido di battaglia, un messaggio di sopravvivenza e ribellione, una manna caduta dal cielo e per fortuna non spazzata via da qualche tromba d'aria e acqua. Energia pulita per le folle contaminate da carbon fossile dell'anima. Se gli organizzatori di un festival rock mainstream permettono che il pubblico sia testimone di un simile portento, lunga vita a loro.
E' giusto che i Pearl Jam non suonino soltanto per i soliti cinque amichetti. Ed è giusto che anche chi non li conosce se li possa godere senza dover conoscere a memoria i testi dell'ultima b-side. Tuttavia, spero che in futuro continueranno a ritagliarsi un po' di spazio anche per l'altro tipo di concerti. Almeno saltuariamente. Che non si limitino a fare tour nei festival come è accaduto per gran parte di questa estate in Europa (con eccezioni - meravigliose, mi dicono - a Berlino, Dublino, Belfast...), ma che riorganizzino qualcosa come il giro dei palazzetti e delle arene del 2006. Spettacoli dove ogni sera sapevi che avresti potuto rimanere stupito da una Tremor Christ (ieri hanno suonato solo una canzone da Vitalogy, la prevedibile Corduroy, aaaaaah!!!), una I Believe in Miracles, una Picture on a Frame o anche solo una gracile Bee Girl.
Spettacoli dove la band entra in simbiosi con ogni singola cellula di ogni singolo partecipante. Un po' come nella Black di Milano 2006, che per me rimane esempio per antonomasia dell'interazione tra band e pubblico e che dunque citerò fino alla noia. Guardate il video qui sotto, l'appendice fan-made del brano. Anche ieri a Venezia, Black è stato uno dei momenti alti, intensi, emozionanti. Però, nel finale, il pubblico si è spento un millisecondo dopo la fine della musica. Non sapeva cosa fare, dove applaudire, dove sussurrare... Normale, con 40,000 persone, di cui molte probabilmente abbonate all'intero festival e interessate ai Pearl Jam quanto agli Aerosmith o ai Black Eyed Peas. Niente di cui strapparsi i capelli... Ma il fan è fan: non può non notare la differenza... E sentenziare: se il concerto di ieri è stato da 8, i Pearl Jam da 10 sono tutta un'altra cosa. :o)