Qualche giorno fa ho acceso l'iPod Touch mentre ero seduto su un autobus della linea 13, a Torino. La prima cosa che mi è apparsa sullo schermo è stata la disponibilità di reti wi-fi nelle vicinanze. Ce n'erano almeno cinque. Sarà capitato anche a voi - in aeroporto o in un bar, con il portatile o con lo smartphone - di verificare la presenza di wireless e di trovarvi di fronte a numerose possibilità, a volte aperte, spesso protette da password. Nell'attesa di una copertura wi-fi o wimax universale (che chissà se arriverà mai), l'impressione è che - per lo meno nei centri urbani - esista già una potenziale rete wi-fi, formata dalle singole reti locali: domestiche o meno, private o pubbliche. Cosa accadrebbe se improvvisamente decidessimo di aprire tutte queste reti, di non nasconderle più dietro a password, di condividerle? Sulla falsariga di quanto è accaduto con le reti P2P, probabilmente si creerebbe una gigantesca infrastruttura in grado di offrire un accesso universale e continuo. E gratuito. 24 ore su 24, ovunque.
Naturalmente, è solo una speculazione (anche se c'è chi, come Fon, da un presupposto del genere ha provato a sviluppare un progetto concreto). Ci sarebbero mille controindicazioni, contraddizioni e contravvenzioni di cui tener conto. Un circolo vizioso economico, innanzitutto: se io posso accedere sempre gratis a Internet, perchè dovrei continuare a pagare un abbonamento? Ragionando in questo modo, tuttavia, i singoli abbonamenti calerebbero, indebolendo la rete e facendo crollare di fatto l'intera ipotetica infrastruttura. Da un punto di vista industriale, poi, i provider non sarebbero certo d'accordo: già oggi, ufficialmente, quasi tutti ti vietano di subaffittare (o anche solo concedere gratuitamente) la tua connessione al vicino. Ognuno deve pagare la sua rete e accedere solo tramite quella. Se no, è comunista. Anche dal punto di vista della legge, ci sarebbero una montagna di problemi: dalla lotta al terrorismo a quella contro i download di contenuti non autorizzati, il centro di ogni operazione è l'identificabilità dell'utente, quasi sempre associata a una singola connessione. In Germania, una recente sentenza di un tribunale ha praticamente messo nero su bianco che - per evitare problemi di questo tipo - ogni utente di Internet deve per legge proteggere la propria connessione con una password. Se non lo fa, scatta subito una multa. L'obbligo di password.
Per l'opinione pubblica, forse lo scontro di civiltà tra occidente cristiano e oriente musulmano è più accattivante. Di certo, sparge più sangue e funziona meglio in tv. A livello tecnologico, ne sta però avvenendo un altro molto più trasversale che contrappone antiche abitudini e strutture mentali consolidate a paradigmi radicalmente innovativi, spesso determinati dallo sviluppo delle reti digitali. E' un conflitto che può essere riassunto con la dicotomia apertura/chiusura e che si sta allargando a diversi settori: dal p2p alla libertà d'espressione, dalle connessioni Web ai nuovi dispositivi portatili che definiranno la nostra quotidianità futura (l'iPad in bilico tra "viti e colla"). La nostra società si è sviluppata sulle ali della chiusura, del controllo, della limitazione. Steccati, muri, password, brevetti, copyright, dogane, divieti, lucchetti, protezioni, esclusività: esiste tutto un immenso vocabolario per spiegare le fondamenta su cui abbiamo costruito la nostra identità, la nostra arte, il nostro benessere.
Dilagando tramite una tecnologia che probabilmente nemmeno i padri fondatori immaginavano così potente e imprevedibile, le reti digitali stanno diffondendo idee e suggestioni che si pongono in modo quasi antitetico rispetto al dogma della chiusura. Sul Web del primo Napster e dell'ultimo Twitter, la condivisione avviene quasi di default. E' la condizione di partenza. E' naturale mettere a disposizione la propria musica, è naturale far circolare i video ripresi a una manifestazione, è naturale comunicare e interagire. A tutti i livelli. Quando Mark Zuckerberg dice che oggi le persone non sono più interessate alla privacy, probabilmente non ha ragione e di sicuro ha bene in mente gli interessi di Facebook, ma non dice mica il falso. Semplicemente parla il linguaggio del network, un idioma nel quale il termine "protezione" non trova alcun senso. Di più, è una vera e propria aberrazione.
Nel momento stesso in cui si entra nella rete, si contribuisce con la propria piccola parcella di energia (positiva, neutra o negativa che sia). La si fonde con tutte le altre. Per questo, sarebbe quasi spontaneo intrecciare le reti wi-fi, creando un unico grande network universale. Non giusto o sbagliato: tecnologicamente naturale. Ma probabilmente distruttivo per quelle economie e quelle industrie che necessitano di un'infrastruttura chiusa e protetta per sopravvivere e fiorire. Dieci anni fa è davvero tutto nato come una questioncina di carattere musicale: download sì, download no. Adesso siamo saliti a un livello superiore e non è un caso se molte delle forze che controllano la società e che non sono riuscite a rinnovarsi o a trovare benefici dal nuovo paradigma (governi democratici, tirannie postmoderne, lobby industriali) stiano facendo di tutto per normalizzare il network, per controllarlo a colpi di paletti, regole e copyright, per riprendere in mano le redini del fondamentale sistema della comunicazione e dello scambio di informazioni. E così facendo, per mantenere il potere. Dall'altra parte soffia forte il vento della libertà e del caos illuminista-digitale: selvaggio, affascinante, impetuoso. Non vivessimo in una società a colori, sembrerebbe la classica e manichea contrapposizione tra il bianco e il nero. In realtà, è una battaglia dai risvolti molto più complessi, che si intrecciano con questioni anche squisitamente extradigitali (vedi l'apertura/chiusura agli immigrati, ai prodotti cinesi, al "diverso") e non devono farci dimenticare che parole come "libertà" non hanno necessariamente sempre e solo un'accezione positiva (pensiamo alla libertà concessa ai signori della finanza, per esempio...). Vista da qui, sgranocchiando un Cucciolone e mentre fuori piove con il sole, comunque, è una battaglia tremendamente avvincente.