Mentre una coccinella dai colori improbabili zampetta tranquillamente sul mio pc, vi segnalo un compleanno che sono stati (comprensibilmente) in pochi a festeggiare. Il 23 aprile ha compiuto due anni il Founders' Copyright, una delle tante licenze inventate da quei tizi che si nascondono dietro al nome Creative Commons.
In mezzo a tanta modernità e futurologia, il Founders' Copyright rappresenta un tuffo nel passato più remoto, che per gli americani non va oltre al 1776. Dopo aver dichiarato l'indipendenza dalla perfida Albione, George Washington e compagni si preoccuparono di stabilire subito un paio di regole relative alla proprietà intellettuale. E fissarono in 14 anni il copyright su un'opera.
Per molto tempo, quello è rimasto il limite del diritto d'autore negli Stati Uniti, rinnovabile ad altri 14 anni dietro richiesta. Poi, su pressione dell'industria dell'intrattenimento (soprattutto di Hollywood, negli ultimi anni), quel limite è stato aumentato, aumentato, aumentato. E adesso in certi paesi è di 75 anni dopo la pubblicazione dell'opera (o addirittura dopo la morte dell'autore).
E' la sindrome di Walt Disney. Topolino è nato un bel po' di anni fa, ma è ancora molto redditizio. Perchè bisognerebbe renderlo di dominio pubblico, quando frutta ancora un sacco di quattrini? C'è già chi inizia a preoccuparsi per i Beatles. In Europa il limite del copyright è fissato a 50 anni dopo la pubblicazione. Nel 2013, quindi, le canzoni dei baronetti di Liverpool dovrebbero iniziare a diventare libere, copiabili, senza controllo. Un insulto per l'industria discografica, se si pensa che ancora oggi - epoca in cui finalmente si trovano nei negozi quasi tutti i compact disc di catalogo a 10 euro - i dischi dei Beatles sono gli unici ad essere venduti a prezzo pienissimo. Senza se e senza ma (però, su Amazon ho acquistato la raccolta 1 ad appena 10 dollari).
Se si considerasse la musica (e il cinema, e la letteratura) come un banale prodotto industrial-commerciale, allora non ci sarebbero dubbi. Il copyright potrebbe anche essere allungato ad libitum. Forse però bisognerebbe soffermarsi sugli aspetti culturali, sociali ed emotivi delle canzonette. Sull'effetto benefico che un ritornello azzeccato regala ai nostri cuori. Fate l'amore, non la guerra. E se non potete fare l'amore, almeno ascoltate un po' di buona musica: vedrete che vi passerà la voglia di fare la guerra. Ecco perchè non si può pensare alla musica semplicemente come a un prodotto.
Inoltre, non bisogna dimenticare che il diritto d'autore è nato per tutelare l'autore, per permettergli di guadagnare qualcosa grazie alle sue opere, di mangiare due pasti caldi al giorno e di continuare a creare. Non è stato inventato per garantire il guadagno di chi con quell'opera magari non ha mai avuto niente a che fare (se io compro un album dei Beatles, perchè i miei soldi devono finire a Michael Jackson?).
Quindi, se è sacrosanto chiedere che l'Iva della musica venga abbassata dal 20% al 4%, proprio insistendo sul suo valore culturale, sarebbe anche giusto tornare a un copyright a misura d'autore. Che serva a proteggere i diritti degli artisti e dei produttori che permettono agli artisti di diffondere il proprio lavoro, ma non a ostacolare la circolazione delle opere. Perchè se si è davvero convinti della valenza sociale e culturale del rock'n'roll, allora si dovrebbe essere contentissimi se le canzoni di Elvis Presley - che ormai è morto da quasi trent'anni - stanno iniziando a diventare di dominio pubblico. Esattamente come sono di dominio pubblico la Divina Commedia e le sinfonie di Beethoven.
E ricordiamoci che se un lavoro è di pubblico dominio, questo non vuol dire che diventa automaticamente poco profittevole. Negli ultimi anni, i grandi quotidiani nazionali hanno guadagnato un sacco di soldi offrendo insieme al giornale una serie di libri privi di diritto d'autore, ma venduti comunque a pagamento ("I grandi classici dell'Ottocento" di Repubblica, i "Classici" della Stampa, quelli del Corriere della Sera, ecc. ecc.). Nello splendido mondo che regaleremo ai nipoti dei nostri nipoti, forse si sarà finalmente capito che il profitto sociale di una maggior circolazione di cultura non arriva per forza a discapito di un profitto economico, anzi.
Tornando all'inizio del messaggio, quindi, tanti auguri al Founders' Copyright, con il quale le Creative Commons offrono la possibilità di proteggere le proprie opere all'antica, con 14 anni di copyright. E tanti saluti alla coccinella dai colori improbabili, che - evidentemente annoiata da quanto stavo scrivendo - è volata via dal mio computer.
In mezzo a tanta modernità e futurologia, il Founders' Copyright rappresenta un tuffo nel passato più remoto, che per gli americani non va oltre al 1776. Dopo aver dichiarato l'indipendenza dalla perfida Albione, George Washington e compagni si preoccuparono di stabilire subito un paio di regole relative alla proprietà intellettuale. E fissarono in 14 anni il copyright su un'opera.
Per molto tempo, quello è rimasto il limite del diritto d'autore negli Stati Uniti, rinnovabile ad altri 14 anni dietro richiesta. Poi, su pressione dell'industria dell'intrattenimento (soprattutto di Hollywood, negli ultimi anni), quel limite è stato aumentato, aumentato, aumentato. E adesso in certi paesi è di 75 anni dopo la pubblicazione dell'opera (o addirittura dopo la morte dell'autore).
E' la sindrome di Walt Disney. Topolino è nato un bel po' di anni fa, ma è ancora molto redditizio. Perchè bisognerebbe renderlo di dominio pubblico, quando frutta ancora un sacco di quattrini? C'è già chi inizia a preoccuparsi per i Beatles. In Europa il limite del copyright è fissato a 50 anni dopo la pubblicazione. Nel 2013, quindi, le canzoni dei baronetti di Liverpool dovrebbero iniziare a diventare libere, copiabili, senza controllo. Un insulto per l'industria discografica, se si pensa che ancora oggi - epoca in cui finalmente si trovano nei negozi quasi tutti i compact disc di catalogo a 10 euro - i dischi dei Beatles sono gli unici ad essere venduti a prezzo pienissimo. Senza se e senza ma (però, su Amazon ho acquistato la raccolta 1 ad appena 10 dollari).
Se si considerasse la musica (e il cinema, e la letteratura) come un banale prodotto industrial-commerciale, allora non ci sarebbero dubbi. Il copyright potrebbe anche essere allungato ad libitum. Forse però bisognerebbe soffermarsi sugli aspetti culturali, sociali ed emotivi delle canzonette. Sull'effetto benefico che un ritornello azzeccato regala ai nostri cuori. Fate l'amore, non la guerra. E se non potete fare l'amore, almeno ascoltate un po' di buona musica: vedrete che vi passerà la voglia di fare la guerra. Ecco perchè non si può pensare alla musica semplicemente come a un prodotto.
Inoltre, non bisogna dimenticare che il diritto d'autore è nato per tutelare l'autore, per permettergli di guadagnare qualcosa grazie alle sue opere, di mangiare due pasti caldi al giorno e di continuare a creare. Non è stato inventato per garantire il guadagno di chi con quell'opera magari non ha mai avuto niente a che fare (se io compro un album dei Beatles, perchè i miei soldi devono finire a Michael Jackson?).
Quindi, se è sacrosanto chiedere che l'Iva della musica venga abbassata dal 20% al 4%, proprio insistendo sul suo valore culturale, sarebbe anche giusto tornare a un copyright a misura d'autore. Che serva a proteggere i diritti degli artisti e dei produttori che permettono agli artisti di diffondere il proprio lavoro, ma non a ostacolare la circolazione delle opere. Perchè se si è davvero convinti della valenza sociale e culturale del rock'n'roll, allora si dovrebbe essere contentissimi se le canzoni di Elvis Presley - che ormai è morto da quasi trent'anni - stanno iniziando a diventare di dominio pubblico. Esattamente come sono di dominio pubblico la Divina Commedia e le sinfonie di Beethoven.
E ricordiamoci che se un lavoro è di pubblico dominio, questo non vuol dire che diventa automaticamente poco profittevole. Negli ultimi anni, i grandi quotidiani nazionali hanno guadagnato un sacco di soldi offrendo insieme al giornale una serie di libri privi di diritto d'autore, ma venduti comunque a pagamento ("I grandi classici dell'Ottocento" di Repubblica, i "Classici" della Stampa, quelli del Corriere della Sera, ecc. ecc.). Nello splendido mondo che regaleremo ai nipoti dei nostri nipoti, forse si sarà finalmente capito che il profitto sociale di una maggior circolazione di cultura non arriva per forza a discapito di un profitto economico, anzi.
Tornando all'inizio del messaggio, quindi, tanti auguri al Founders' Copyright, con il quale le Creative Commons offrono la possibilità di proteggere le proprie opere all'antica, con 14 anni di copyright. E tanti saluti alla coccinella dai colori improbabili, che - evidentemente annoiata da quanto stavo scrivendo - è volata via dal mio computer.