mercoledì, aprile 15, 2015

Il fascino perduto del leak

Fonte: International Business Time

Da queste parti, qualcosa sta cambiando. Da alcune settimane è disponibile sulle reti P2P The Magic Whip, il nuovo album dei Blur, la cui distribuzione ufficiale è prevista per il 27 aprile. Nel weekend sono fuoriusciti online i primi quattro episodi della nuova stagione di Game of Thrones/Il trono di spade. Eppure, in entrambi i casi, non ho calato il retino nell'oceano digitale. Nemmeno per inerzia, ragioni professionali, curiosità. Ieri mi sono guardato con calma la prima puntata di GoT in tv e per i Blur penso che aspetterò che l'album arrivi su Spotify (sperando che non venga fermato alla dogana delle esclusive...) a fine mese. E non ho dovuto sforzarmi: è semplicemente venuto così. 

Due considerazioni:

1. Nel ranking di preferenze personali, non si tratta di contenuti di Serie B. Tutt'altro: dei Blur (e delle infinite incarnazioni artistiche di Damon Albarn) mi piace praticamente tutto; Game of Thrones ha raccolto lo scettro di Breaking Bad nella categoria "serie più entusiasmante del momento". Insomma, è materiale che qualche anno fa probabilmente avrei davvero sentito il bisogno di procurarmi nel battito di un leak, con quelle pulsioni tipiche della generazione zerocalcare. 

2. Lascerei fuori il discorso su copyright, pirateria, ecc. ecc. Ci sarebbero troppe cose da dire e in linea di massima non mi sembra nemmeno il punto più interessante da affrontare. Qui si tratta più che altro di motivazione: più che un presunto ritorno alla legalità, un ritorno alla qualità dell'esperienza di ascolto/visione dei contenuti. Che poi, dal lato del consumatore, dovrebbe essere la voce determinante di tutta la questione (persino più determinante del gratis...)

È come se fosse entrato in funzione un plotone di anticorpi adibiti alla battaglia contro la gestione sempre più ansiogena e fuori controllo della distribuzione e fruizione di contenuti. Di tutti i contenuti: dall'alto, dal basso, da destra, da sinistra, ufficiali, apocrifi, uffipocrifi. Può darsi che si tratti di una reazione personale, tutt'altro che condivisa nelle praterie del web. Ma se non è così, se questo sentimento vive anche al di fuori del mio computer e delle mie esperienze personali, se si sta diffondendo - magari ancora in modo carbonaro, ma capillare - allora prepariamoci perché le ripercussioni potrebbero essere davvero interessanti.

Oggi nel campo del marketing culturale/spettacolare, dell'industria, della comunicazione e dell'informazione si gioca quasi tutto sul concetto di aspettativa e di evento. Creare l'attesa per un evento e poi sparare il colpo, cercando di fare più rumore possibile (magari mascherando la prima fase e puntando su un sempre più artificiale effetto sorpresa, tipo bomba-carta allo stadio). I leak di fatto rispondono a questo sviluppo di un appetito culturale vorace, perenne, sempre più immerso in una soluzione di istintività e irrazionalità. È qualcosa che penso abbia molto a che fare con il culto del real time dominante nella società contemporanea (digitale e non solo). 

L'obiettivo di qualsiasi distributore - autorizzato o meno - è richiamare l'attenzione/azione immediata del pubblico, spesso stordendolo con effetti speciali. Ma se il pubblico dopo un po' si stufasse? Se recuperasse il controllo della sua esperienza di ascoltatore/lettore/spettatore/utente, prendesse in mano il palinsesto della sua esperienza culturale (anche grazie ai nuovi strumenti digitali, cessando di "lasciarsi utilizzare" da loro) e decidesse che in fondo l'album dei Blur si può tranquillamente aspettare e i primi quattro episodi di Game of Thrones non si devono necessariamente assimilare la prima notte in cui appaiono su BitTorrent (sostituite i vostri contenuti di preferenza)?

Anche solo ipotizzare qualcosa del genere, ad aprile 2015, nell'era del leak, del bingewatching e dell'ansia da previsione digitale, ha la parvenza del sacrilegio. La storia sembra procedere in tutt'altra direzione. Un simile cambiamento di prospettiva (da parte del consumatore) non andrebbe solo a limitare gli effetti reali dei leak (per la gioia dei produttori di contenuti) ma renderebbe immediatamente obsolete anche il 99% delle campagne di promozione/marketing e desertificherebbe quella parte dei social network adibita al commento istantaneo di tutto ciò che si consuma. 

Forse è davvero solo un'impressione personale. Forse il mondo si trova a proprio agio nell'era del consumo accelerato e istantaneo. Forse il contesto non permette ulteriori stravolgimenti. E forse la sirena del leak è ancora in grado di sedurre le nostre sinapsi e sempre sarà così. Ma se guardo al futuro vedo uno scenario possibile, diverso e migliore rispetto al presente. I primi quindici anni d.N. (dopo Napster) ci hanno convinto di poter avere tutto e subito. I prossimi quindici potrebbero farci maturare la consapevolezza che - per dare un senso a ciò che incontriamo nel nostro cammino - è meglio avere tutto ciò che ci interessa, ok, ma seguendo percorsi di crescita e di qualità della vita più legati a ritmi, tempi e necessità individuali, che dettati dai forsennati tamburi del villaggio globale.