Gli aeroplani hanno ampliato i miei orizzonti; i libri mi hanno aperto la mente; gli antibiotici mi hanno salvato la vita; la fotografia ha acceso la mia creatività. Persino la motosega, che può tagliare di netto dei nodi troppo duri per un'accetta, ha instillato in me un senso di riverenza per la bellezza e la forza del legno come nient'altro al mondo avrebbe potuto fare.
(da Quello che vuole la tecnologia, Kevin Kelly, Codice Edizioni, 2011, pag.4)
Può darsi che sia l'unico paragrafo del libro di Kelly con cui sarò d'accordo, ma suggerisce un'idea forte: la tecnologia dovrebbe migliorarci. Aiutarci a superare gli ostacoli, accrescere le conoscenze, farci vivere meglio. Per molto tempo anche Internet è servita a questo. Da qualche anno però ci siamo seduti: non ci rivolgiamo più alla tecnologia in cerca di un miglioramento, ma ci limitiamo a lasciare che la sua alluvione riempia gli interstizi del nostro tempo. E lei, con il potere della moltiplicazione digitale, la seduzione del social e l'interesse delle aziende, lo fa bene. Fin troppo. Guardandosi attorno, spesso si ha l'impressione che il grande sogno di Internet sia finito in un vortice di Facebook, Candy Crush Saga e WhatsApp. Dal quale è sempre più difficile uscire (e quando si esce, ci si sente meglio o peggio di prima?). Alla maggioranza delle persone può darsi che vada bene così, ma le voci degli insoddisfatti iniziano a farsi coro. Bisogna recuperare il giusto rapporto con la tecnologia, a cominciare dalla qualità/quantità della comunicazione e dell'informazione: sia quella che produciamo che quella che consumiamo. Senza premere il bottone off (tra l'altro, ormai sepolto sotto le notifiche), ma riprendendo il controllo e rialzando gli occhi dallo schermo.