Jonathan Ive sul palco del Vanity Fair New Establishment Summit
Secondo una storia su cui ammetto di non aver mai indagato molto, ma che probabilmente non è troppo distante dalla realtà, la giovane Hollywood è stata costruita all'insegna della pirateria. All'inizio del secolo scorso, alcuni produttori si spostarono da New York alla West Coast e - contando sulla distanza e su leggi di copyright ancora molto blande - iniziarono a replicare le storie, le sceneggiature, i film dei produttori della Costa Atlantica, gettando le basi per quello che sarebbe diventato un impero. Poi, nella seconda metà del Novecento, lo stesso impero avrebbe invece lottato per irrigidire ed estendere all'infinito le norme sul copyright (con un obiettivo che ancora oggi appare tanto chiaro quanto inquietante: evitare che qualsiasi cosa, a cominciare da Topolino, finisca nel pubblico dominio).
Questo esempio mi è tornato in mente oggi, leggendo un articolo di The Verge in cui si riportano i commenti rilasciati il 9 ottobre da Jony Ive, il guru del design Apple, al Vanity Fair New Establishment Summit di San Francisco. In riferimento a prodotti fortemente "ispirati" allo stile Apple, come lo Xiaomi Mi Pad, Ive dice di non sentirsi affatto lusingato, bensì incazzato. "Non lo vedo come un omaggio, ma come un furto". Il territorio è ben conosciuto, non solo nel mondo dell'industria e dell'high tech ma anche in quello della creatività artistica: in eterno bilico sul confine tra citazione e plagio. E probabilmente Ive ha ragione nel distinguere l'ispirazione dall'imitazione e nel lamentarsi degli eccessi di questa moderna età dei cloni. Ma la sua reazione violenta ha il retrogusto della leggenda hollywoodiana. Un altro evento caro alla mitologia del progresso tecnologico è infatti la visita di Steve Jobs ai laboratori Xerox di Palo Alto nel 1979, quella in cui il fondatore di Apple scoprì e "rubò" le idee del mouse, delle finestre, dell'interfaccia grafica, poi sviluppate nei Macintosh.
Un'altra leggenda, forse. Riscritta e amplificata dal trascorrere del tempo, nonché accompagnata dalla giustificazione "sì, ma lui quelle idee le ha trasformate e migliorate". A mio parere, il problema rimane lo stesso: la doppia e comunissima natura dell'azienda (o dell'intera industria) che da giovane si muove con allegra spavalderia nei confronti delle regole, per poi gradualmente adottare comportamenti sempre più chiusi e conservatori, soprattutto quando i fatturati crescono a dismisura e in modo inversamente proporzionale al potenziale innovativo dei propri prodotti. Il periscopio non deve rimanere ancorato a passato e presente, possiamo anche girarlo verso il futuro. Facebook, Google e Amazon sono giovani. Ma non più così giovani. E nel loro settore sono tutte aziende quasi-monopoliste. Dopo aver ridisegnato il nostro mondo - spesso con spavalderia ancora maggiore rispetto a quella di Hollywood o Apple - si trasformeranno anche loro in entità conservatrici? Inizieranno a lamentarsi di comportamenti che sono stati decisivi nel loro processo di crescita? Lo stanno già facendo?