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Come raccontava Il Post qualche giorno fa, gli articoli lunghi stanno tornando (relativamente) in auge su Internet, con pro e contro. Le ragioni di questo revival? Un po' la reazione di una parte di lettori nei confronti di tweet, vine, freddure e tutte le altre zanzare della comunicazione che ci avvolgono a nugoli, stuzzicando e tenendo impegnato il cervello 24 ore su 24 senza mai coinvolgerlo davvero; un po' quella moda per il vintage e per i tempi e i modi dell'analogico (la lettura "old style") nella quale ci piace cullarci, quasi sostituendo il timore per il futuro con una bella visione arcadica del passato (visione ritoccata/distorta da filtri mentali non così diversi da quelli tecnologici che ingialliscono e rendono romantiche le foto sugli smartphone); un po' perché nei testi lunghi si possono sviluppare ragionamenti, spiegare situazioni e innescare riflessioni che a fatica riescono invece a decollare in quell'ecosistema sempre più caotico, rumoroso e basato sul binomio titolo forte/like istintivo che è l'odierno web sociale.
Non è che gli articoli lunghi siano sempre giusti e i tweet sempre sbagliati. Tutt'altro: ci sono situazioni in cui un messaggio da 140 caratteri sa essere più efficace, utile e adeguato di un mammuth da 14000 battute. Il problema è quando i tweet e gli status frettolosi prendono del tutto il sopravvento, occupando l'intero spazio mentale delle persone, seducendole con facili slogan e diventando più una trappola partecipativa che una scorciatoia verso la conoscenza e la corretta informazione. Un esempio: l'Islanda. Il 18 febbraio Claudio Giunta ha pubblicato su Internazionale un articolo in cui smonta pezzo per pezzo la mitologia che negli ultimi anni ha accompagnato la reazione del paese nordico alla crisi economica. Vi ricordate la costituzione redatta dai cittadini sul Web? Il rifiuto di pagare i debiti provocati dal collasso del sistema bancario nazionale? L'idea di un popolo che si ribellava fieramente contro banche e capitalismo finanziario (immediatamente paragonato alle brutture di casa nostra)?
Forse le cose, come spiega Giunta, non stanno esattamente così. Ma se aprite il link sopra, è probabile che la prima sensazione che proviate sia uno spiazzamento di fronte alle dimensioni dell'articolo. È davvero lungo: 22762 caratteri. Non solo per leggerlo ci vuole un po' di tempo e di buona volontà, ma nemmeno il titolo ("Non esistono paesi allegorici") si presta bene al giochino del rilancio sul social network. Sulla bacheca di Facebook non funziona, non bene come quelli che abbiamo visto e condiviso qualche mese fa: "Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale", "Islanda, un paese che vuole punire i banchieri", "Facciamo come l'Islanda, niente tagli e banchieri in galera". Ecco, la questione - in generale - non è tanto ciò che è davvero accaduto in Islanda. Non è nemmeno discutere su articoli lunghi e brevi: può benissimo capitare di non avere il tempo o la voglia di leggere 22762 caratteri. Almeno, però, dovremmo sforzarci e limitare la condivisione istintiva di news che non sono solo brevi, ma hanno spesso l'unico pregio di cavalcare - fin dal titolo - il sentimento e il link popolare.