Dice mio padre che se il
Toro non vince più la colpa è mia. E' una malignità con basi
storiche: il 16 maggio 1976, giorno dell'ultimo scudetto, io
scalpitavo nel pancione di mia mamma, ignaro di quanto fossero
effimere le grida di gioia granata provenienti dall'esterno. Da
quando sono nato, esclusa una Coppa Italia al cardiopalma, il Toro
non ha più vinto niente. Perdendo, invece, parecchio.
Ma nel racconto che Eraldo Pecci fa della magica annata 1975-76, da
lui vissuta in prima linea, Il Toro non può perdere.
Ed è una lettura
meravigliosa. Per i tifosi granata, certo, che vi troveranno la loro
intensa – e ahimè, sempre più remota – Febbre a 90°.
Ma credo anche per gli
appassionati di calcio di ogni colore – forse persino per quelli
senza colore! – che non potranno che lasciarsi riscaldare dai
divertenti aneddoti e dalle memorabili figure secondarie che lo
compongono, ormai estinte nell'era di procuratori, tatuaggi e diritti
tv.
Bonus tracks:
"Avevo vent'anni, ero appena arrivato dal Bologna, all'epoca non riuscivo nemmeno a comprendere la portata di ciò che stavamo facendo. L'ho capito solo molti anni dopo ed è per questo che ho scritto il libro: per non dimenticare e perché non venissero dimenticati tutti i personaggi straordinari che parteciparono - anche restando nell'ombra - a quell'impresa". L'autore, giovedì sera, all'incontro organizzato a Grugliasco nel festival "Il cuore dentro alle scarpe", presso il circolo Casseta Popular. Io cito una frase struggente, ma l'appuntamento è stato in realtà a tutta gag.
La figurina, ovvero il definitivo trionfo del vintage.