Non so più dove ho letto che per generazioni di bambini il primo terribile contatto con la morte è avvenuto guardando Bambi, quando la madre del cerbiatto protagonista viene uccisa dal cacciatore. Io non ricordo quando ho visto per la prima volta quel film e non ho nemmeno memorie particolari della scena in cui muore la madre. Quello che ricordo benissimo invece, forse anche perché è di molto più recente, è stato il mio primo impatto con Barefoot Gen.
Film d'animazione giapponese del 1983, tratto dall'omonimo manga di Keiji Nakazawa, Barefoot Gen (Hadashi No Gen) è il racconto della bomba atomica di Hiroshima attraverso gli occhi di un bambino. Non un semplice cartone animato, ma un doloroso, necessario, pugno nello stomaco. Soprattutto se vi arrivi impreparato e ti lasci cullare dalla prima mezzora, dove viene presentata la famiglia protagonista: padre, madre (incinta) e tre figli. Il punto di vista è quello di Gen, il figlio intermedio, un bambino di sei anni. Noi seguiamo lui e il fratellino per le strade di Hiroshima, estate 1945: li vediamo combattere la fame, nascondersi nei rifugi quando le sirene annunciano gli aerei americani, trascorrere le giornate nelle difficoltà del periodo bellico in una clima quasi leggero, dove anche lo stomaco vuoto si affronta con il sorriso sulle labbra. La stessa Hiroshima - i fiumi, i tram, le strade polverose - sembra tranquilla, pigramente in attesa di tempi migliori. C'è un po' di stoico, sobrio buonismo, nell'aria. Purtroppo, c'è anche qualcos'altro.
Arriva il 6 agosto. Una mattina che sembra uguale alle altre. Un puntino luminoso in alto nel cielo. Un riflesso lontano. E poi la bomba. Ecco, improvvisamente, da un secondo all'altro, come deve essere accaduto nella realtà, tutto cambia. L'esplosione (e i suoi effetti sulle persone, sugli animali, sugli edifici) ti toglie il respiro. Per qualche minuto rimani in apnea. Come paralizzato, tu spettatore, dallo stesso flash di morte che abbagliò e bruciò la città quel giorno. Quindi inizia il calvario del dopo: Gen e i sopravvissuti cercano di resistere alla devastazione dei giorni successivi, agli orrori della miseria, al veleno delle radiazioni. Il sorriso e la speranza rimangono il sottile e umanissimo filo conduttore. Ma per quanto tu cerchi di andare avanti, anche solo nella visione del film, le cicatrici non scompaiono semplicemente voltandosi dall'altra parte. Anche perché sembra non esserci mai fine alla tragedia: dopo l'esplosione, ci sono tre/quattro momenti del film in cui è impresa inumana porre un argine alle lacrime.
Eppure Barefoot Gen è un film da vedere. E magari anche rivedere. Io ci sono tornato ieri, dopo aver appreso con qualche giorno di ritardo della scomparsa di Keiji Nakazawa. Nakazawa è morto per un tumore ai polmoni, il 19 dicembre 2012 all'età di 73 anni. Ne aveva sei, quella mattina del 6 agosto 1945, quando l'esplosione della bomba atomica lo sorprese nel tragitto verso la scuola. A salvarlo fu un muretto, che lo protesse dalla fiammata. Lo stesso muretto che Nakazawa ha inserito nel manga, dolorosissimo eppure rivitalizzante racconto autobiografico di quell'esperienza. Ho fatto un po' di ricerche: non ho trovato tracce di alcuna versione italiana di Barefoot Gen (su Amazon, a un buon prezzo, vendono il doppio dvd con anche il sequel Barefoot Gen 2, ma si tratta della versione per il mercato UK), mentre del manga Panini dovrebbe aver pubblicato - qualche anno fa - i primi quattro volumi (in tutto sono dieci). Su YouTube però si trova il film in versione integrale, sottotitolata in inglese. Ieri, l'ho riguardato lì. E' il video che trovate in apertura di post. Sempre su YouTube, nella versione originale in inglese (con sottotitoli in portoghese) è disponibile White Light/Black Rain: The Destruction of Hiroshima and Nagasaki, un documentario del 2007 di Steven Okazaki con interviste a quattordici superstiti delle bombe. Tra cui Keiji Nakazawa.