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Siamo la generazione sbagliata. Abbiamo più di vent'anni e meno di quaranta. Siamo cresciuti pensando che tutto ci fosse dovuto, che la crescita fosse continua e garantita, che il paradiso terrestre fosse tornato tra noi senza più serpenti, che il gioco sporco lo avessero già fatto i nostri genitori, che la guerra fosse finita, che tutto ciò che c'era da conquistare fosse stato conquistato. Noi potevamo e dovevamo solo godere: dal mulino bianco alla pensione d'oro. The future is written. Amen. Oggi invece ci ritroviamo a osservare spauriti i brandelli del cielo che cade. E come reagiamo? Corriamo a raccontarlo disperati ai nostri psicanalisti, ai nostri neurologi, ai nostri amici, ai nostri specchi, ai nostri schermi. Gli anticorpi della lotta sono stati sostituiti da quelli del lamento. Gli ormoni della curiosità da quelli del voyeurismo. Il desiderio di conquistare il futuro dal terrore di essere inculati dal passato. La socialità è ormai un reality: serve a sfogarsi e a distrarsi. C'è un bell'articolo di Marco Mancassola, pubblicato ieri sul Manifesto e rimbalzato su Facebook. Titolo: Generazione locked-in. Tra le tante domande che pone: "Perché un popolo di trentenni precari e sottopagati, de-realizzati, senza prospettive su alcun piano, si limita a soffrire ognuno per conto suo, nel chiuso ermetico della propria esistenza?". Spesso è così, è vero. Ma altrettanto spesso la sofferenza riesce a uscire dal chiuso ermetico... peccato che si concretizzi solo in uno sterile lamento. Un rumoriccio di sottofondo. Una scoreggetta buttata lì. Venti righe su un blog o uno status esclamativo su Facebook. Un "che merda" rantolante, con l'occhio triste e il bisogno quasi disperato di tornare nel guscio. Siamo una generazione sbagliata. Paranoica. Depressa. Delusa. Eppure geneticamente paralizzata. Persino quando vediamo un errore su Wikipedia mica lo correggiamo, però ce ne lamentiamo. Ci sentiamo talmente fragili e stanchi che sugli autobus i posti dovrebbero riservarli a noi, non ai settantenni. Anzi, per colpa del Viagra e della pensione, quei maledetti settantenni iniziamo addirittura a invidiarli. Ma come, io sono qui che soffro e tu fai le orge a palazzo? Abbiamo imparato solo una cosa: aspettare Godot. Perché Godot deve assolutamente arrivare. Deve rimettere le cose a posto. Deve darci quello che ci è stato promesso, assicurato, garantito negli anni felici e totalmente disimpegnati della gioventù. Siamo la generazione sbagliata. Sfigata. Non abbiamo colpe, e anche di vertebre non è che ne siano rimaste molte. Però sappiamo aspettare. E aspettiamo. Aspettiamo. Aspettiamo. Aspettiamo. Su Wikipedia c'è scritto che Godot alla fine mica arriva. Ma è di certo un altro errore.