martedì, febbraio 10, 2009

"No Line on the Horizon": la (nano) recensione



Avreste mai pensato o sperato di incontrare di nuovo gli U2 epici di The Joshua Tree, quelli che sognavano di cambiare il mondo con una canzone e non certo con una stretta di mano alla Casa Bianca? No? Allora preparatevi a ricredervi. Il respiro di No Line on the Horizon, la traccia che apre l'omonimo nuovo lavoro della band irlandese, è lo stesso di Where the Streets Have No Name, leggendaria ouverture del leggendario album del 1987: maestoso, immenso, con un ritornello in grado di suscitare brividi nei pochi metri quadrati di una cameretta, figurarsi negli spazi immensi del tour europeo della prossima estate. E' la prima sorpresa, la prima emozione di un album che ne ha parecchie da dispensare. Emozioni incalzanti, come il ritmo d'assalto di Magnificent (con sonorità che non possono non rimandare a quelle create da Eno per l'ultimo album dei Coldplay), o lente e sognanti, come quelle della meravigliosa Moment of Surrender, intessuta sul dialogo tra il basso di Adam in primo piano e un lontano organo alla Your Blue Room in sottofondo. L'originalità non è la regola assoluta del disco. Qua e là gli U2 ricadono in formule già talmente usate in passato da risultare ormai stereotipate (il riff di chitarra e il falsetto di Unknown Caller: quante volte li avremo già sentiti?). Eppure l'ispirazione sembra essere tornata ai livelli dei bei tempi: sia nei momenti più melodici mid-tempo, come I'll Go Crazy If I Don't Go Crazy Tonight, che in quelli più sporchi e movimentati, come il primo singolo Get On Your Boots e la sincopata Stand Up Comedy, che spezzano l'andamento di No Line on the Horizon esattamente come The Fly e Mysterious Ways spezzavano quello di Achtung Baby. Altre reminiscenze (diciamo Mofo e dintorni) vanno cercate per raccontare Fez-Being Born, il brano più sperimentale, schizofrenico e dunque contemporaneo del disco, con quel suo meltin' pot di elettronica e percussioni maghrebine che di colpo si interrompono per lasciar spazio a "qualcosa d'altro". Con White As Snow le atmosfere tornano improvvisamente più rarefatte: solo una chitarra arpeggiata e la voce di Bono, profonda e liscia come un bicchiere di scotch. Da innamorarsi, immediatamente. Breathe lancia un ultimo anonimo sussulto di elettricità, concedendo carta bianca alla chitarra di The Edge (una chitarra che in tutto l'album riconquista il posto che le compete). Rimane solo il tempo per un'ultima riflessione, a passeggio tra i Cedars of Lebanon. E' la classica ballata che chiude tutti gli album degli U2: sia i migliori che i peggiori. E No Line on the Horizon sembra avere tutte le carte in regola per appartenere alla prima categoria.

P.S. Forse qualcuno di voi si starà chiedendo come diavolo ho fatto ad ascoltare già il disco degli U2, che non uscirà prima di un paio di settimane e non è ancora nemmeno scivolato sui network di file sharing. Beh, come potete immaginare, se sei un giornalista potente e importante puoi contare su parecchi privilegi. Purtroppo però io non sono nè potente nè importante. E infatti l'album mica l'ho ascoltato. La recensione che avete letto non è quella del No Line on the Horizon che arriverà nei migliori negozi e P2P all'inizio di marzo, ma è la recensione del No Line on the Horizon in versione liofilizzata che è stato distribuito in streaming oggi sul sito di Walmart e che si è da lì propagato oltre le frontiere del Web. Trenta secondi in streaming per ogni brano: sei minuti in tutto. Non una recensione, dunque, ma una nano-recensione. Che ci volete fare, i tempi e le tecnologie permettono anche questo. :o)