martedì, dicembre 06, 2005

Ho visto il futuro del rock. Sono le cover band.

Sabato sera sono andato a vedere i Five Against One, una cover band dei Pearl Jam in cui suona un amico. Tornando a casa, immerso in una nebbia degna della val Padana, mi sono trovato a pensare a due cose.

La prima è che - a dispetto della oggettiva e sorprendente bravura dei Five Against One - provo un disperato bisogno di rivedere dal vivo i Pearl Jam originali. Al momento sono in tour in Sudamerica e, come è ormai pratica consolidata, vendono su Internet tutte le registrazioni dei concerti in formato MP3. Quando si decidono a fissare il tour europeo?

Il secondo ragionamento - decisamente psichedelizzato dall'ora, dalla birra e dalla nebbia - riguarda invece le cover band. Chi segue la musica da vicino e non come semplice ascoltatore occasionale, sa cosa si pensa in genere dei gruppi-tributo: sono odiati, vituperati, insultati, maledetti, accusati di essere una sorta di realtà clandestina musicale che viene qui a togliere il lavoro alle oneste band emergenti, ecc. ecc. E in effetti, non si può dire che dietro a queste accuse non ci sia un fondo di verità. Tanto per rimanere all'esempio di sabato, i Five Against One hanno suonato in un pub dove - per tutto l'inverno - il palco sarà occupato esclusivamente da cover band.

E' una iattura. Bisognerebbe dare più spazio a gruppi con repetorio originale, se no come fanno a crescere? Tutto vero. Ma senza voler scendere nel dettaglio della reale qualità dei gruppi emergenti in Italia (sono stato per cinque anni nella giuria regionale di Arezzo Wave: vi assicuro che ho sentito orrori che voi umani non potete neanche immaginare), mi sembra che il processo di rafforzamento delle cover band sia francamente inarrestabile. Non perchè viviamo in un mondo di merda, ingiusto e crudele. Semplicemente perchè questo è il percorso comune di qualsiasi disciplina artistica.

Quando pensiamo che le tribute band dei Queen, dei Police o di Springsteen andrebbero bruciate vive, proviamo ad applicare lo stesso discorso ad altri settori. Daremmo fuoco anche al teatro dove va in scena l'ennesima replica di
Romeo e Giulietta? O lapideremmo quel pianista che osa suonare per l'ennesima volta i notturni di Chopin? E manifesteremmo il nostro scandalo di fronte all'ennesima ouverture della Scala o dell'Arena con l'Aida? Ok, si dirà, ma cosa c'entra? Quella è roba vecchia. Il rock è tutta un'altra cosa, è l'energia giovane che conquisterà il mondo.

Beh, più giovane delle commedie di Plauto o del canto gregoriano, il rock lo è senza dubbio. Ma così giovane da poter ancora pretendere di avere un'ingenuità e un'energia adolescenziale, non mi sembra proprio. Non siamo più negli anni '70. Siamo nel ventunesimo secolo. Elvis Presley è morto trent'anni fa, Jim Morrison e Jimi Hendrix ancora prima, Mick Jagger avrà pure ancora la linguaccia lunga ma va per i settanta. Pian piano, il "rock" diventerà un genere temporalmente più vicino a Chopin che non all'epoca contemporanea. Gli artisti sopravvissuti alla stagione del drug, sex & rock'n'roll inizieranno a morire di vecchiaia (lo stanno già facendo). E dopo
Romeo e Giulietta, i notturni di Chopin e l'Aida, sarà sempre più numeroso il pubblico che vorrà ascoltare dal vivo uno spettacolo dedicato ai Beatles, ai Led Zeppelin, e così via. Non è quello che accade già, per esempio, con i vari omaggi a De André, a Battisti, o con i musical sui Genesis e sugli Abba?

Questo processo naturalmente non si attualizzerà nel giro di due mesi e comunque non escluderà mai la produzione di dischi rock contemporanei. Ma lo spazio e la rilevanza di queste novità andranno probabilmente rimpicciolendosi e autolimitandosi anno dopo anno. Pensiamo solo alla storia recente. Ditemi cinque album DAVVERO fondamentali, in grado di reggere il paragone - a livello di "importanza" nella storia della musica moderna - con quelli degli anni Sessanta. Io dovrei essere tra le persone più indicate a individuarli: praticamente ascolto solo musica post-1990, quasi tutto il resto mi annoia. Eppure, per quanto riguarda gli ultimi dieci anni, l'unico titolo che mi viene in mente è
Ok Computer dei Radiohead (e risalendo al 1991, Nevermind dei Nirvana). Molti altri album mi entusiasmano, ma non penso che tra cinquant'anni saranno ricordati come capolavori imprescindibili.

Chissà, forse siamo in procinto di essere testimoni di qualche nuova rivoluzione artistica. Magari assisteremo alla nascita di qualche nuova forma d'intrattenimento che sconvolgerà il mondo con le sue provocazioni e le sue Woodstock (digitali?). Ma il futuro del rock – inteso non come “innovazione”, bensì come “realtà futura” – secondo me è già scritto. Ed è indissolubilmente legato alle cover band.




Dopo questa profezia vi saluto per qualche giorno. Vado a Courmayeur per il Noir in Festival ed è probabile che non aggiorni il blog prima di venerdì sera. Buona settimana! E ricordatevi di votare gli Italian Blog Music Awards, ché magari troviamo qualche disco italiano capolavoro in grado di ostacolare le cover band... :o)