(fonte: New Scientist)
Roger Lowenstein del New York Times recensisce The Google Story, un libro di recente pubblicazione dedicato alle fortune del motore di ricerca di Mountain View. A un certo punto della recensione vengono citate alcune considerazioni di Sergey Brin, uno dei due papa' di Google:
"Perche' non migliorare il cervello? In futuro potremmo creare una piccola versione di Google che si collega direttamente al tuo cervello".
Sembra una boutade da giovane (31 anni) neomiliardario annoiato. Invece e' davvero il futuro. Magari lontanissimo, di certo inquietante, sotto alcuni aspetti addirittura orribile e innaturale. Ma per come stanno andando le cose, assolutamente inevitabile.
Il digitale ha ormai preso possesso del nostro mondo, dettando le sue regole. Tutto cio' che e' informazione viene trasformato in bit e si espande in modo esponenziale, sia in termini di quantita' che di velocita'. In questo preciso istante ci sono miliardi di canzoni, film, notizie, transazioni economiche, mail, sms e video porno che circolano alla velocita' della luce sulle varie autostrade informatiche del pianeta. Tutto si moltiplica, tutto si accelera.
Ma il nostro cervello resta analogico. Possiamo sforzarci di adattarlo al cambiamento, taylorizzare al massimo le sue funzionalita', cercare di guadagnare un po' di tempo (magari rinunciando al sonno), stressarci fino all'inverosimile per non sprecare neanche un secondo libero... ma alla fine saremo costretti ad ammettere la cruda realta'. I computer seguono la legge di Moore, noi al massimo quella di Murphy. Non riusciremo mai a tenere il folle passo della comunicazione digitale.
E a quel punto o decideremo di fermarci a riflettere un attimo. Oppure, più probabile, qualcuno tirera' fuori il jolly, segretamente sviluppato in qualche garage, laboratorio o caverna wiki: un chip da innestare al cervello, per aumentarne le capacita'. Una nanotecnologia che tasformera' quintali di romanzi di fantascienza in fiction neorealista.
Quando accadra'? Magari tra cento anni, piu' probabilmente se ne vedra' gia' qualche avvisaglia entro la prima metà del secolo. Dipendera' da come si evolveranno i complicati equilibri tra oscurantismo medievale e frenesia modernista.
C'e' un modo per evitare il nostro triste destino cyborg? Non credo. Con il tempo si e' capito che il progresso scientifico e tecnologico non e' una macchina a cui puoi applicare un pulsante on/off. E' un flusso. Al massimo puoi rallentarlo, deviarlo, ostacolarlo, ma non lo puoi fermare. Anche se tutte le chiese e i governi si coalizzeranno, ci sarà sempre una pecora Dolly in procinto di nascere in qualche parte del mondo. E i nostri figli si abitueranno a indossare i maglioncini fatti con la sua lana.
Noi intanto godiamoci questi ultimi anni in cui la distinzione tra pensieri analogici e strumenti digitali è ancora sufficientemente netta. Senza correre troppo, trastullandoci in un unico grande dubbio: il nuovo chip si chiamerà Google Brain o Google Mind?
Roger Lowenstein del New York Times recensisce The Google Story, un libro di recente pubblicazione dedicato alle fortune del motore di ricerca di Mountain View. A un certo punto della recensione vengono citate alcune considerazioni di Sergey Brin, uno dei due papa' di Google:
"Perche' non migliorare il cervello? In futuro potremmo creare una piccola versione di Google che si collega direttamente al tuo cervello".
Sembra una boutade da giovane (31 anni) neomiliardario annoiato. Invece e' davvero il futuro. Magari lontanissimo, di certo inquietante, sotto alcuni aspetti addirittura orribile e innaturale. Ma per come stanno andando le cose, assolutamente inevitabile.
Il digitale ha ormai preso possesso del nostro mondo, dettando le sue regole. Tutto cio' che e' informazione viene trasformato in bit e si espande in modo esponenziale, sia in termini di quantita' che di velocita'. In questo preciso istante ci sono miliardi di canzoni, film, notizie, transazioni economiche, mail, sms e video porno che circolano alla velocita' della luce sulle varie autostrade informatiche del pianeta. Tutto si moltiplica, tutto si accelera.
Ma il nostro cervello resta analogico. Possiamo sforzarci di adattarlo al cambiamento, taylorizzare al massimo le sue funzionalita', cercare di guadagnare un po' di tempo (magari rinunciando al sonno), stressarci fino all'inverosimile per non sprecare neanche un secondo libero... ma alla fine saremo costretti ad ammettere la cruda realta'. I computer seguono la legge di Moore, noi al massimo quella di Murphy. Non riusciremo mai a tenere il folle passo della comunicazione digitale.
E a quel punto o decideremo di fermarci a riflettere un attimo. Oppure, più probabile, qualcuno tirera' fuori il jolly, segretamente sviluppato in qualche garage, laboratorio o caverna wiki: un chip da innestare al cervello, per aumentarne le capacita'. Una nanotecnologia che tasformera' quintali di romanzi di fantascienza in fiction neorealista.
Quando accadra'? Magari tra cento anni, piu' probabilmente se ne vedra' gia' qualche avvisaglia entro la prima metà del secolo. Dipendera' da come si evolveranno i complicati equilibri tra oscurantismo medievale e frenesia modernista.
C'e' un modo per evitare il nostro triste destino cyborg? Non credo. Con il tempo si e' capito che il progresso scientifico e tecnologico non e' una macchina a cui puoi applicare un pulsante on/off. E' un flusso. Al massimo puoi rallentarlo, deviarlo, ostacolarlo, ma non lo puoi fermare. Anche se tutte le chiese e i governi si coalizzeranno, ci sarà sempre una pecora Dolly in procinto di nascere in qualche parte del mondo. E i nostri figli si abitueranno a indossare i maglioncini fatti con la sua lana.
Noi intanto godiamoci questi ultimi anni in cui la distinzione tra pensieri analogici e strumenti digitali è ancora sufficientemente netta. Senza correre troppo, trastullandoci in un unico grande dubbio: il nuovo chip si chiamerà Google Brain o Google Mind?