Il signor 2020 è disteso sul letto ma non riesce ad addormentarsi. A tenerlo sveglio, oltre alla tosse, è il rumore che viene da fuori: le grida della folla inferocita, radunata attorno all'ospedale, che lo insulta 24 ore su 24. Decine di milioni di persone. «Ma gli assembramenti non erano vietati?», borbotta inacidito, accendendosi una sigaretta. Non è giusto, pensa, quel dannato virus l'ha inventato il signor 2019. Lui se l'è trovato dentro quando ancora era un bambino, se l'è dovuto tenere per tutta la vita... e adesso è colpa sua? Ma sa che è inutile lamentarsi. E sa cosa lo aspetta nel giro di un paio di giorni: la damnatio memoriae. Anzi, no. Magari fosse la damnatio memoriae, magari si dimenticassero di lui: nei secoli dei secoli, sarà bollato come l'anno del virus. Destino infame. Qualcuno bussa alla porta. Entra un'infermiera. «È arrivata un'altra corona di fiori», dice. Senza nemmeno guardarla, il signor 2020 indica un angolo della stanza. L'infermiera appoggia la corona per terra, vicino ad altre. Sui fiori gialli c'è una scritta nera, «Grazie di tutto», seguita dalla firma di un uomo importante. Lo stesso uomo importante che in quel momento si trova nell'attico del grattacielo più alto del mondo. Talmente alto che, dopo l'aggiunta di duecento piani, dalla cima ormai si vede la curvatura del pianeta. L'uomo è molto soddisfatto: un po' perché l'anno è andato bene, un po' perché gli è appena venuta una nuova idea. Ha letto che laggiù, sulla Terra, stanno morendo molte più persone del solito. Persone che hanno bisogno di un funerale dignitoso, pulito, per tutte le tasche. L'uomo allora ha lanciato un nuovo modello di bare: economiche, funzionali, con un certo gusto nel design. Consegna, trasporto al cimitero e interramento gratuiti per gli abbonati. Davvero una buona idea, pensa, mentre osserva il mondo dalla vetrata panoramica del suo ufficio. Montagne, fiumi, città. Altri grattacieli, tutti molto alti, ma non come il suo. E in fondo, dove avanza la linea del nuovo anno, il porto. Sul molo c'è una donna che cammina. È bellissima, anche se è impossibile descriverne i tratti perché li cambia a ogni passo, con naturalezza: i vestiti, il volto, il colore della pelle. Bianco, rosso, giallo, nero, verde, blu. In molte incarnazioni appare come una fanciulla, ma si intuisce che è una signora di una certa età. Gli occhi sono profondi, la camminata lenta. Sembra un po' stanca, forse anche triste. Mentre scrivo queste parole, la donna si volta e mi fissa negli occhi. «Faccio finta di non aver sentito il commento sull'età», dice. «Ma... Stanca? Triste? Guarda che sei tu che mi vedi così». Quindi sorride, solleva una mano, con il palmo rivolto verso l'alto e vi soffia sopra. Dal nulla si formano piccoli oggetti volanti. Il primo ha la forma di arcobaleno.
Anche questa canzone ha una certa età. L'hanno scritta i Rolling Stones una cinquantina (abbondante) di anni fa. Molly Tuttle l'ha fatta sua e registrata in un disco fresco come i primi giorni di primavera, leggero come una piuma e agile come una barchetta di carta che sa come evitare i clown nei tombini. Una raccolta di cover iper-eclettica (oltre ai Rolling Stones, ci sono brani di National, FKA Twigs, Rancid, Arthur Russell, Cat Stevens), che mostra che tipino tosto sia l'artista di Santa Clara, prima donna a vincere nel 2018 il premio di chitarrista dell'anno della International Bluegrass Music Association.
Rimanendo in area sei corde, ma alzando il volume degli amplificatori, una sfida combattutissima si è svolta sul ring del Madison Square Garden, categoria mediomassimi newyorchesi. All'angolo blu, i veterani alternative Nada Surf. All'angolo rosso, gli psichedelici folk Woods. All'angolo viola a pois gialli, gli Strokes. Tutti titolari di album a cui essere grati, ma ai punti hanno vinto gli ultimi. Merito dei pois, forse, e del riff di questa canzone che ti si appiccica addosso senza lasciarti più. Gli Strokes sono in line up al Primavera Sound 2021. Essere laggiù a giugno, sotto il palco in mezzo alla folla, e sentir partire questo riff sarebbe davvero un bel brindisi alla normalità.
Che il 2020 sarebbe stato bizzarro lo si era intuito ascoltando Liscio Gelli, il brillante circo del liscio aperto a gennaio dai Mariposa. A mantenere alto il tasso d'estrosità ci ha pensato Agavi sdrucciole del torinese Carlo Pestelli, piccola e acrobatica suite d'autore piena di funambolismi linguistici. Per mantenere la metafora circense: come se un equilibrista attraversasse l'arena su un filo. Non camminando, però: saltellandoci sopra. Curiosità: una traccia dell'album Venti di Giorgio Canali (che invece è una grattugia perfetta di chitarre e testi rossofuoco) si intitola Canzone sdrucciola. Due indizi non fanno una prova, bensì una certezza: stiamo finalmente assistendo al ritorno del neosdrucciolanesimo. Anno bizzarro, indubbiamente.
Con quella deliziosa faccia da schiaffi che tutti invidiamo a lui e al fratello, Liam Gallagher ha detto che il 2020 è stato «un anno Radiohead». E allora parliamo un po' di Radiohead, anche se per vie traverse. Weird Fishes/Arpeggi è un brano tratto da In Rainbows, un loro disco del 2007. Con una coincidenza che di certo significa qualcosa, due artiste britanniche ne hanno inserito una cover nei rispettivi dischi. Quella di Lianne La Havas, cantata, si chiama Weird Fishes; quella di Kelly Lee Owens, strumentale techno-soul, Arpeggi. L'irlandese Rosie Carney, poi, è andata oltre: ha registrato un onirico tributo integrale a The Bends (disco uscito nel 1995, quando lei ancora non era nata). È stato un anno Radiohead, ma per qualcuno è stato più Radiohead degli altri.
Navigando tra le classifiche di fine anno, ormai in prossimità del capolinea di dicembre, ho scoperto tante belle cose tra jazz e dintorni. Per esempio, la tripletta al pianoforte di casa ECM: Arctic Riff del Marcin Wasilewski Trio (con Joe Lovano al sax), Life Goes On di Carla Bley e l'elegiaco Budapest Concert di Keith Jarrett (registrato nel 2016 e pubblicato pochi giorni dopo l'intervista in cui Jarrett ha rivelato di non poter più suonare a causa degli effetti di un duplice ictus). Poi c'è Matthieu Saglio, un violoncellista francese che vive a Valencia e che in El camino de los vientos ha raccolto brani frutto di collaborazioni con jazzisti della scena scandinava, francese, africana, mediterranea. Un po' come se la barchetta di She's a Rainbow fosse arrivata al mare. Triste per quello che non abbiamo potuto fare e per chi abbiamo dovuto salutare, ma... (SOCIAL MEDIA & WEB MANAGER: inserire citazione Rossella O'Hara o altra frase di viaggio e di speranza)
Bonus tracks
2h20 // 2020 è una playlist che raccoglie 2 ore e 20 minuti di musica del 2020. Sono trenta canzoni, tratte da alcuni dei dischi che più ho ascoltato quest'anno. Amorevolmente presentate a coppie, ma in un unico assembramento.