Sono passati quattro mesi dalla fine del lockdown. Non è ancora storia ma già nuvoleggia nella memoria, mentre si sfrondano i ricordi vani, conservando la materia per nipotini. Ai loro eredi, Edda (Stefano Rampoldi) e Marok (Gianni Maroccolo) potranno raccontare una storia probabilmente diversa dalla nostra, di aver cioè sfruttato il periodo gaglioffo per concepire un album: sghembo fin dal titolo (Noio; volevam suonar.), privo di qualsiasi appeal radiofonico, distribuito in modo bizzarro, con una promozione fai-da-te e una ricezione il cui perimetro ristretto è tracciato dai crud(el)i numeri di Spotify. Insomma, una fotografia del rock italiano nel 2020, zattera un po' spersa in un oceano alieno. Ma che fotografia! Scattata da due artisti che di quel rock ne hanno scritto la storia (Maroccolo bassista nel periodo d'oro di Litfiba e CCCP/CSI, Edda frontman dei Ritmo Tribale, le cui ali si sono sciolte appena sfiorato il sole di MTV) e che ne affrontano il presente da gagliardi e iconoclasti solisti. Il pargolo è venuto al mondo con 11 tracce. Più sperimentali e nervose le prime sei, tra l'elettrofrankensteinismo di Maranza e le semidistorsioni grunge-dark di Servi dei servi (che qui hanno ridestato spiriti di Mad Season). Più lente e rarefatte le ultime cinque, con una Sognando che proietta Don Backy su una rotonda sul mare di David Lynch e una Achille Lauro il cui titolo molesto nasconde delicati arpeggi e romanticismo. Cometa che ha solcato l'anno del contagio su orbite di periferia, difficilmente Noio avrà un rigoglioso futuro live: un po' per gli ostacoli della congiuntura, un po' perché non credo sia facile da riprodurre (Maroccolo ci ha dato dentro nella produzione). Tuttavia sabato, quasi per magia, Servi dei servi e Sognando sono apparse durante un concerto di Marok a Firenze. Da lì, a cascata: il desiderio di riascoltarlo, il piacere nel rigiocare con i suoi Castelli di sabbia, queste righe e la tessera d'accesso al jukebox del 2020.