venerdì, maggio 09, 2014

The Neverending Stories: sempre più spesso non finiamo ciò che abbiamo...

Prima che Atreiu abbia trovato i pidocchi, noi saremo già da qualche altra parte

Cercherò di essere breve. Brevissimo, perché so che vi state già distraendo. 

Secondo una ricerca condotta da Paul Lamere, il 48.6% degli ascoltatori di Spotify salta alla canzone successiva prima che quella che sta ascoltando sia finita (il 35% lo fa dopo appena trenta secondi, il 24% addirittura dopo i primi cinque secondi).  

Non è un'abitudine limitata alla musica, vale anche per la lettura. Non arriverete mai alla fine di questo articolo, scriveva Fahrad Manjoo qualche mese fa. E se ci arriverete, forse sarà perché l'avete letto a balzelloni, andando a cercare nel testo le "parole attraenti" citate da Michael S. Rosenwald in Non leggiamo più come un tempo

E i video? Non ho trovato ricerche o articoli sul tema, ma mi basta l'esperienza personale per porvi una domanda: quante volte arrivate alla fine di un video su Internet? Quante volte saltellate invece con il cursore alla ricerca dei momenti interessanti? E quante vi fermate del tutto e passate ad altro, ma lo condividete comunque su Facebook perché... perché... perché... perché bisogna per forza finire le frasi?

Collegato a mezzi tecnologici costruiti sul principio della connessione/dispersività (linka et impera) e bombardato da una quantità sempre più spaventosa di input da gestire in un tempo limitato, il nostro cervello si protegge in quello che appare l'unico modo possibile, lo stesso che adottiamo di fronte a un aperitivo-buffet: assaggia bocconcini minuscoli di ogni pietanza, senza mangiare (quasi) mai un piatto completo

La soluzione? Le conclusioni? In linea con l'argomento, non ce ne sono...

Rimangono solo le consuete grandi domande esistenziali: quanto infuirà questa crescente abitudine allo skipping e al consumus interruptus nella futura produzione di contenuti? Gli autori/musicisti/videomaker/giornalisti reagiranno e si adatteranno di conseguenza? Arriveranno a scrivere storie, canzoni e visioni che non si concludono, perché tanto non serve? E dal lato del fruitore, quanto cambierà la costruzione del nostro bagaglio personale di conoscenze? Sarà sempre più frammentario e sbilanciato a favore dei titoli rispetto ai contenuti?