mercoledì, luglio 22, 2009

Non sono più il pubblico di una volta?

Probabilmente è tutta una questione di coincidenze astrali e personali. Qualcuno schiocca le dita e tu ti senti subito predisposto a qualcosa di speciale. Qualcun altro schiocca le dita e lui sembra davvero predisposto a qualcosa di speciale. Qualche migliaia di altre divinità schioccano le dita e altrettanti cuori sono predisposti a qualcosa di speciale. Insomma, tanto per non divagare troppo, ieri sono stato al concerto torinese di Springsteen ed è stata una grande emozione, continua, pazzesca, con una scia pulsante e ben più lunga delle tre ore del concerto.
Sembravano divertirsi tutti. Lui, la band, il pubblico nel prato, il pubblico sugli spalti, io sugli spalti, uomini, donne, vecchi, bambini (una quantità di bambini spaventosa, l'ultima volta che ne avevo visti così tanti sotto a un palco era a un concerto dei Nomadi... e non prendetela come cattiveria).
Io non sono un fan duro e puro del Boss, uno di quelli che lo inseguono da vent'anni o trent'anni e conoscono a memoria ogni singolo aspetto della carriera e hanno un metro di giudizio assai migliore del mio. Però conosco alcuni rappresentanti di questa categoria. Almeno due mi hanno confermato che si è tratto di qualcosa di speciale, leggendario, fighissimo. Sono contento di esserci stato.

E mi permetto di fare un piccolo ragionamento, certamente non troppo originale, ma che secondo me assume un significato nuovo con i cambiamenti di cui siamo testimoni nel mondo della musica: un ragionamento sulle scalette dei concerti.
Anche l'ultimo satellite ancora da scoprire di Urano sa che Springsteen è uno a cui piace cambiare canzoni a ogni concerto. Anche piuttosto radicalmente. Tanto per fare un esempio, metà dello spettacolo torinese di ieri era diverso da quello romano di 48 ore prima. Ed è probabile che metà di quello di Udine di domani sarà differente rispetto a Torino e Roma. Conosco solo un'altra band che fa qualcosa del genere: i Pearl Jam (forse anche Dylan?).
La stragrande maggioranza degli artisti, soprattutto quelli che hanno già raggiunto un successo consolidato (ma non solo loro) appartengono a una fazione esattamente opposta: mantengono la scaletta quasi invariata per tutti i concerti di una tournèe. Inutile dire che i campioni di questa teoria sono gli U2. E lo sono da tempi non sospetti. L'incommensurabile Zoo Tv era praticamente identico ogni sera, così come i più lontani tour di Rattle, Joshua, The Unforgettable Fire. In quello attuale, in linea di massima tengono 20/22 canzoni fisse, cambiandone giusto un paio a sera.

Sono due linee di pensiero legate a target differenti e abbastanza definiti:
a) Springsteen, Pearl Jam & C.: non sono troppo interessati a ingigantire a dismisura il loro già nutrito seguito; accettano l'idea che buona parte degli stadi e dei palazzetti siano riempiti da fan d.o.c., quelli che magari si fanno 5/10/15 date dello stesso tour. Non disdegnano certo gli altri, ma sembrano puntare al fan duro e puro, insomma.
b) U2 & C.: preferiscono pensare (e credo che The Edge lo abbia anche espressamente dichiarato in un'intervista) a un pubblico diverso per ogni tappa, ogni concerto, ogni città. Hanno un approccio quasi teatrale allo spettacolo, che è ogni sera una replica e che diventa anche difficile modificare a causa delle sempre più sofisticate soluzioni tecnologiche/scenografiche/visive che lo accompagnano (da questo punto di vista, credo che anche i Coldplay e soprattutto i Muse siano sulla buona strada...).

L'idea dei gruppi a) è che il divertimento per il pubblico stia nello scoprire cosa verrà suonato, serata per serata, anche a costo di rinunciare a qualche evergreen. E' un po' tutta una grande festa a sorpresa. L'idea dei gruppi b) è che il pubblico di ogni città abbia diritto a vedere uno spettacolo organico, completo, con il maggior numero di hits possibili.
Come detto, è una storia vecchia. Non diventa d'attualità solo perchè ieri sono rimasto incantato di fronte a un concerto del Boss e oggi mi sono divertito a spulciare tutte le differenze tra i suoi concerti del 2009.
Però, credo che in questi anni (complice la solita Internet) si siano aggiunti due elementi che fanno pendere un'ipotetica bilancia di piacevolezza di un concerto sempre più dal lato dei gruppi a), i "mutaforme", rispetto ai b), i "monolitici". Almeno dal punto di vista dell'appassionato, più che dello spettatore occasionale.

Il primo cambiamento è di matrice industriale: in un'epoca in cui si vendono sempre meno dischi, non ha più molto senso economico sostenere che il tour deve essere una vetrina del disco più recente. Quanti milioni di concerti a scaletta fissa sono stati costruiti con questo schema - 50% nuove canzoni, 50% classici - per non deludere i vecchi fan e al tempo stesso magari spingere qualcuno a comprare un nuovo album? Gli U2 sono di nuovo un buon esempio, è facile sparare su di loro, ma credo che il discorso valga davvero per un'ampia maggioranza di artisti. Oggi però non c'è più bisogno di seguire un ragionamento del genere. L'ombelico del mondo non sono più i dischi. Sono i concerti. Bisogna concentrarsi su quelli. Renderli davvero unici, speciali, particolari, in modo da convincere il pubbico a spendere 30/50/70/110/200 euro per i biglietti.
E qui si intreccia il secondo grande cambiamento, che parte invece dal mare della comunicazione globale. Come ben saprete da YouTube e magari anche da qualche messaggio sporadico su questo blog, grazie a Internet oggi è possibile sapere in tempo reale quasi tutto su concerti che si stanno svolgendo anche in un altro continente. Tra blog, YouTube, Facebook, Twitter, etc. etc., niente è più segreto. A ogni tappa del tour, i fan degli U2 si ritrovano sul forum di www.u2place.org, dove commentano in diretta le notizie che arrivano dai vari stadi e ascoltano in diretta numerosi spezzoni live, grazie agli stratagemmi tecnologici architettati da misteriosi appassionati tedeschi, olandesi, venusiani, klingon. Lo so, perchè ogni tanto mi prendo la mia bella sedia virtuale e mi metto anch'io in un angolo a guardare. Trovo che sia un virus comprensibile e a suo modo meraviglioso (questi forum sono comunque sempre arene di socialità). Un virus che però - soprattutto tramite canali sociali diffusi come Facebook - sta ormai contagiando anche la gente comune, colei che sembrava immune alle patalogie da rockfan. Proprio oggi su Facebook molti miei amici hanno postato link entusiasti a video YouTube del concerto di ieri del Boss. Era capitato anche con gli U2. Una mattina, appena svegliato, aprivi il video di The Unforgettable Fire di Barcellona e scoprivi gli effetti speciali della canzone che avresti visto una settimana dopo, a Milano. Bella ciao alla sopresa, al mistero, alla magia.

Anche nel 1993 gli U2 ripetevano le stesse cose ogni sera, è vero. Ma a saperlo erano solo i fan più carbonari e ossessivi. Non c'era il megafono di Internet a rivelarlo a tutti gli altri.
Uno potrebbe dire: bene, allora risolvere il problema è facile, smettiamola di girare video ai concerti, di condividerli su YouTube, di chiacchierare, commentare, raccontare i concerti sui blog, torniamo silenziosi, esoterici e legati alla natura come eravamo in passato. E' vero. Già che ci siamo, ripristiniamo anche tutte le partite di serie A alla domenica pomeriggio, 90° minuto alle 18.10 (ma io accendevo la tv già alle 17.55, soprattutto se il Toro quel giorno aveva vinto) e tiriamo fuori dall'armadio le mezze stagioni.
E' impossibile. E non è neanche salutare: perchè noi che ce la meniamo con sti problemini da peter pan rockettari, a volte dimentichiamo che la libertà di comunicazione è una risorsa necessaria a vincere ben altre sfide. Quel poco che abbiamo saputo, compreso o creduto di comprendere di quanto è avvenuto in Iran nelle settimane scorse è merito di quegli stessi telefonini, quelle stesse reti di comunicazione, quegli stessi YouTube e quegli stessi Twitter che ci rovinano la sorpresa su cosa viene dopo Where the Streets Have No Name al concerto degli U2 (One... quasi sempre). Quando sono stati neutralizzati questi canali, un velo di silenzio è sceso su Teheran. Là dietro qualcosa succede ancora, probabilmente non è un grande spettacolo, ma non possiamo vederlo.
Tutto è intrecciato ed è meglio pensarci due volte prima di rinunciare agli strumenti del progresso. Un po' di autoregolamentazione può andar bene. Non dobbiamo fotografare tutto, registrare tutto, sapere tutto. Ma il segreto sui concerti - se lo si vuole recuperare - non può certo arrivare da lì. In questo caso non è la montagna (il pubblico) che deve muoversi, ma è Maometto (l'artista). E' lui che deve capire che nel secolo della comunicazione digitale globale, se vuole ancora regalare un po' di stupore ai suoi fan, deve farlo in prima persona. Seguendo l'esempio del Boss e dei cinque ex-grunger di Seattle: cambiando qualcosa ogni sera, ripescando vecchi cimeli del passato, inserendo cover ad arte, rovesciando l'ordine precostituito. Deteatralizzando quei concerti che sono sempre più spettacolo e sempre meno rock'n'roll.

Un aneddoto sui miei/nostri eroi. Proprio mentre mi godevo Drive All Night all'Olimpico, ad Amsterdam andava in scena il secondo concerto olandese degli U2. E le fedeli truppe u2placers erano collegate al forum, seguendo l'evento in diretta. A distanza di pochi minuti sono avvenute alcune cose incredibili: la band irlandese - che probabilmente già sapeva che io avrei scritto questo post e ne era preoccupatissima - ha inserito in scaletta addirittura tre canzoni mai suonate nel 2009 (le ottime Until the End of the World, Bad e l'abominevole Elevation). Inoltre, ha osato spostare One, anticipandola di una mezzoretta buona sulla scaletta tradizionale. Non vi dico le reazioni dei fan italiani sul forum. Un terremoto emozionale. Anche solo lo spostamento di One, in un concerto a tremila chilometri di distanza, deve aver procurato qualche decina di preinfarti. "E adesso? Come la sostituiranno? Cosa metteranno alla fine del concerto? Bad? Unkwown Caller? 40? Acrobat?" (nei momenti di panico e di speranza relativi agli U2, prima o poi c'è sempre qualcuno che tira fuori Acrobat...).

E' tutto molto patologico, me ne rendo conto. Ma è anche tutto molto bello. Ed è una bella patologia di fronte alla quale gli artisti non dovrebbero rimanere insensibili. Il pubblico oggi vuole la botte piena e la moglie ubriaca: vuole sapere tutto (tramite YouTube & Internet) ma vuole anche essere sorpreso... E il ritorno di un pizzico di mistero potrebbe spingere molti appassionati a moltiplicare il proprio desiderio (e i propri acquisti di biglietti) nei confronti di una band. L'esperienza live più bella della mia vita è stata il trittico Verona/Milano/Torino dei Pearl Jam nel 2006, con quelle cinquanta canzoni suonate in tre sere diverse, tutte da scoprire, da respirare e da urlare a pieni polmoni, ringraziando la band per le incredibili concessioni (Tremor Christ? Tremor...fuckin'... Christ? ha esclamato un fan su un forum americano della band, quando ha saputo che io e altri diecimila fortunati torinesi stavamo ascoltando quella canzone, che i PJ non suonavano da anni...).



E' vero, c'è la spinosa questione del pubblico mainstream. Quello occasionale. Quello che vuole sentire i classici. Ma siamo sicuri che anche questo pubblico occasionale sia uguale a quello di 10 o 15 anni fa? Siamo sicuri che lo si debba accogliere solo con un greatest hits prefissato, del quale avrà probabilmente già spizzicato qualcosa, su suggerimento di qualche amico, via Facebook? Io non credo di essere uno spettatore occasionale di Springsteen, ma non conosco neanche tutto il suo repertorio dalla A alla Z. Ieri non mi ha suonato un sacco di canzoni che avrei voluto sentire, ma pazienza. Una The River, una Darkness on the Edge of Town, una Streets of Philadelphia o una Spirit in the Night in meno sono state ben sacrificate per vedere tutto il pubblico ballare o emozionarsi sulle note delle a me più o meno sconosciute Travelin' Band o Drive All Night.



Sono sempre più convinto che l'esperienza di un concerto guadagni molto non solo dallo stato di forma degli artisti sul palco, ma anche dalla reazione del pubblico. Dal rapporto che si crea tra loro. E credo che il bombardamento di input a cui siamo sottoposti renda il pubblico sempre più sensibile e desideroso di un effetto sorpresa. Anche piccolo. Anche solo lo spostamento di una canzone in scaletta. Lo spettacolo fisso e preconfezionato nel rock sta diventando una formula sempre più ansimante, vecchia, conservatrice, da arte in decadenza. Perchè tu costruisci un palco gigantesco come The Claw? Perchè vuoi stupire il pubblico, vuoi impressionarlo, anche un po' dominarlo faraonicamente. Ma quanto di questo potere perderai se lo spettatore quel palco l'ha già visto da tutte le angolazioni, durante la pausa pranzo in ufficio? Quanto del suo effetto viene anticipato, sorpassato e demitizzato dalle avanguardie di YouTube? Per quanto tempo lui sarà ancora disposto a pagare il prezzo del biglietto per qualcosa che in buona parte già conosce? Vale davvero il confronto, anche da un punto di vista emotivo, rispetto alla sorpresa di una canzone sbucata dal nulla? Non sarebbe anche questo un modo di ridare centralità alla musica?

E tanto per buttarla in maniera ancora più drammatica e antropologica sulla tecnologia: se la nostra mente di ascoltatori sta mutando forma, disarcionando le tracklist definite degli album a favore degli shuffle di un iPod.... non dovrebbero anche gli artisti muoversi verso questa mutata forma mentis, frullando un po' in un ipotetico shuffle le scalette dei concerti? Non è più adatto ai tempi?

Al top dell'estasi, ieri sera, tornando in pullman, mi sono ritrovato a dialogare con Socrate.
- S: quale concerto torneresti a rivedere domani, U2 o Springsteen?
- IO: tutti e due.
- S: ma se ne dovessi scegliere uno solo?
- IO: tutti e due.
- S: smettila di fare il pirla!
- IO: sei milanese? credevo venissi dall'antica Grecia...
- S: dai! non perdere tempo! rispondi! U2 o Springsteen?
- IO: scusa, è la mia fermata, devo scendere.

A lui non potevo confessarlo, ma è proprio così: ora come ora avrei più voglia di rivedere il Boss. E paradossalmente, è proprio perchè so che non risentirei molte delle canzoni che mi hanno così emozionato ieri... Il ragionamento sembra contorto, ma vi giuro, funziona.

Penitenza:
recito dieci Stay, venti New Year's Day, un milione di Acrobat e chiudo questo infinito pistolotto mostrandovi la Until the End of the World suonata dagli U2 ieri ad Amsterdam. Loove looove!