mercoledì, luglio 16, 2008

Nothing Really Ends

Please, don't put your life in the hands of a rock'n'roll band, cantava il saggio Noel.
And don't find the meaning of life in a rock'n'roll concert, ribadisco io.
Eppure quanto accaduto lunedì sera al concerto dei dEUS allo Spaziale Festival di Torino mi è sembrata la prova definitiva che nella vita le cose migliori arrivano sempre in compagnia di quelle peggiori. E dalla merda nascono i fior, come diceva un altro profeta.

Piccolo riassunto, per chi non c'era:

Ore 22.15 circa.
Manca poco all'inizio del concerto e la musica di sottofondo che proviene dal palco salta improvvisamente. Poi riparte. Poi risalta. E' l'impianto generale che fa le bizze. Gli organizzatori bloccano la band nel camerino, cercano di scoprire il problema e risolverlo, poi danno il via libera e che dEUS (quello lassù) ce la mandi buona.

Ore 23 circa.
I dEUS (quaggiù) partono alla grande. E' evidente agli occhi di tutti, anche delle zanzare, che stanno per suonare un gran bel concerto. Ma il dEUS (quello lassù) non ce la manda buona. Al quarto pezzo, l'impianto salta.

Qui avviene il primo miracolo: la band non si incazza. E' stupita, un po' scocciata ma sogghignante, scende dal palco, passano più o meno cinque minuti, risale, si riparte e tutto va ancora meglio di prima. Altri tre o quattro pezzi e nel bel mezzo di The Architect l'impianto si congeda di nuovo.

The end?
Ma dai, non scherziamo, nothing really ends. Barman grida "non sono abitutato a lasciare le cose a metà!", imbraccia la chitarra acustica, si avvicina a bordo palco, chiede al pubblico di fare silenzio e via... conclude The Architect in versione letteralmente, tribalmente e primitivamente unplugged, con gli altri quattro a dargli una mano con i cori. E' giusto un minuto o poco più: non ho neanche il tempo di estrarre il telefonino e scolpire l'evento nella memoria di YouTube. Fatto sta che siamo di fronte al sublime.

Passa qualche altro minuto e si riparte.
Non ci crederete, ma la band suona ancora meglio di prima. Persino una canzone che ho sempre sdegnosamente reputato anonima, What We Talk About (When We Talk About Love) da Pocket Revolution viene fuori in una versione pazzesca. Poi arriva Nothing Really Ends, e giù un ruscello di lacrimoni. Da lì si passa direttamente a Bad Timing in un crescendo talmente epico da toccare il cielo con un dito...
Peccato che a metà arrivi l'ennesimo black out e il dito non basti a rimanere aggrappati al cielo. Ci si sfracella di nuovo al suolo.

Ormai è mezzanotte, la carrozza di Cenerentola è zucca, la carezza di Celentano quasi pugno, si respirano facce da senso critico e da "game over".
Ma quei cinque fottuti belgi ci credono ancora. E che cazzo, vogliono aver loro la parola definitiva. Balzano per l'ennesima volta sul palco, sparano gli amplificatori al massimo e lanciano il violino sferragliante di Suds & Soda come una locomotiva, a bomba, contro l'ingiustizia.
Il pubblico è in delirio!
Ma l'impianto, arrogante e impenitente, no.
Neanche venti secondi e bam!, black out definitivo.

Alla fine il concerto si chiude per ko tecnico.
Per l'ennesima volta, non hanno vinto i migliori.
O forse sì?
Gli organizzatori chiedono scusa e provano a lenire le sofferenze del pubblico offrendo da bere gratis. Tom Barman (nomen omen) contribuisce alla causa, si tuffa nel camerino e torna indietro con una manciata di lattine di birra (le sacre birre del catering!), elargendole al pubblico. Poi si mette a chiacchierare, farsi scattare foto, firmare autografi, sempre sorridente e disponibile. Con lui, tutti gli altri membri del gruppo. Passano venti minuti, mezzora, tre quarti d'ora, e sono ancora tutti lì, giusto un po' più brilli di prima.

Insomma, poteva essere un disastro. Per molti versi lo è stato. Ma per me rimarrà uno dei concerti più emozionanti della mia ormai abbastanza lunga carriera di spettatore. Emozioni interrotte, certo, singhiozzanti, frammentatissime, parziali, magari pure coronate da un rosario di imprecazioni. Però emozioni pure. Quelle che - piccola confessione - dai dEUS avevo ricevuto sempre e solo su album, ma mai nei precedenti quattro concerti a cui avevo assistito. E che, forse, non avrei provato in una serata "normale". Anche un documento fondamentale della storia di Internet (mi riferisco a questo post) probabilmente non sarebbe mai nato.

Poi, mi raccomando, questa è una testimonianza che va presa con le pinze.
In fondo io appartengo alla casta dei privilegiati e dei media partner, i 20 euro del biglietto non li ho pagati, quindi sono stato anche agevolato nella mia epifania. Può anche darsi che ci abbia messo troppa enfasi e confusione nella ricostruzione dei vari mozziconi di concerto (per esempio, non ricordo con certezza se la tanto amata What We Talk About è stata suonata nel secondo o terzo tempo).

Insomma.
Solidarietà massima a tutto il pubblico pagante, in particolare a chi è tornato a casa legittimamente un po' deluso e scazzato.
Solidarietà anche ai ragazzi di Spazio 211, che da anni si sbattono come muli per far circolare buona musica, hanno allestito l'ennesimo festival super e non meritavano proprio una iattura tecnica di questo tipo. Una serata storta può capitare a chiunque, metteteli pure in croce e vedrete che dopo tre giorni risorgeranno più forti di prima.

Ma soprattutto, adorazione massima, pura e incondizionata per i dEUS.
Non so se sono sempre così celestiali o se era semplicemente una serata di buonumore, ma non è che me ne freghi più di tanto. Molte altre band sarebbero scappate via ai primi segni di cedimento. Loro non lo hanno fatto. Anzi. Dalla merda hanno tirato fuori degli splendidi fior.

E su questa ripetizione di poesia schiaccio il bottone "pubblica post" e me ne vado a vedere i Notwist.
Stesso palco, stesso impianto.
Ma l'apertura è affidata a Le luci della centrale elettrica.
Con un nome così, con la corrente non dovrebbero esserci problemi.
(sgrat sgrat... teatrale e rumorosa toccatina scaramantica).